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Opinioni

Le uniche risposte alle occupazioni degli studenti sono repressione e paternalismo

In una lettera rivolta ai dirigenti scolastici, il Direttore dell’Ufficio Scolastico Regionale del Lazio Rocco Pinneri li ha invitati a denunciare gli studenti che hanno occupato le loro scuole e di prendere pesanti provvedimenti disciplinari. Una miscela di repressione e paternalismo che non riconosce ma anzi criminalizza le ragioni dell’interlocutore, che sono poi i ragazzi che siamo chiamati a educare.
A cura di Christian Raimo
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La lettera che Rocco Pinneri, dirigente dell’ufficio scolastico regionale del Lazio, ha inviato il 20 dicembre sulle occupazioni studentesche è un documento molto significativo, che chiunque si occupi di scuola e educazione, dovrebbe leggere con attenzione per ragionare della qualità del discorso educativo in una fase complessa come questa – un sistema scolastico schiacciato da un anno e mezzo di pandemia e una progettazione del Pnrr in cui saranno stanziati 20 miliardi di euro.

In questo momento la lettera non si trova sul sito dell’Usr ma potete leggerla in calce per intero al pezzo. Sul sito dell’Usr si trova invece una nota che affronta lo stesso tema, usando però toni meno duri.

Come possiamo sintetizzare il senso di questo documento? Si dice che le occupazioni studentesche sono reati, interruzione di pubblico servizio; che il conflitto va essenzialmente trattato come questione di ordine pubblico; che il confronto deve svolgersi nelle modalità che l’ufficio scolastico regionale consiglia; che gli studenti che hanno occupato devono essere denunciati e sanzionati attraverso il voto in condotta.

Essenzialmente chiede di separare una parte buona dagli studenti con cui può avvenire un confronto e una parte cattiva che non deve essere nemmeno ascoltata e che va anzi criminalizzata.

Da educatore leggere questa lettera lascia piuttosto perplessi, per i problemi che apre più che per le soluzioni che indica. Delegittimare il processo di politicizzazione del disagio e di autonomizzazione degli studenti nelle occupazioni vuol dire misconoscere la complessità di un fenomeno; così come ridurre a mero vandalismo un momento di conflitto palese vuol dire non distinguere la dimensione educativa anche nella manifestazione del confitto, e della rabbia.

Negli stessi giorni in cui è uscito questo documento di Pinneri, la comunità degli educatori di tutto il mondo si stringeva intorno al dolore per la scomparsa di una delle più grandi pedagogiste contemporanee, Bell Hooks, autrice di quel testo classico contemporaneo, da poco tradotto in italiano, che si intitola Insegnare a trasgredire. La riflessione pedagogica di Hooks è stata un riferimento sempre più centrale per gli educatori negli ultimi anni, ma è diventata imprescindibile con la pandemia.

Il sistema, non solo quello italiano, ha mostrato la sua fragilità, e da un punto di vista organizzativo, e della sua autorevolezza e della capacità democratica: le disuguaglianze meno visibili sono diventate clamorose tanto che lo stesso diritto all’istruzione è sembrato essere andato in crisi. Gli studenti, i docenti, i dirigenti, e i politici che si occupano di scuola, ma anche le famiglie hanno potuto saggiare con i loro occhi la crisi del sistema scolastico, a partire dalle condizioni materiali, come le classi affollate o le strutture inadeguate.

Per rispondere a questa crisi in una fase di emergenza si è fatto appello a un’etica condivisa delle comunità educanti, e questa – nonostante la faticosissima tenuta del sistema nella crisi pandemica e sociale – è stata uno dei cardini centrali nelle relazioni tra individui, famiglie, istituzioni. L’orizzonte pedagogico principale è stato quello, convintamente riaffermato, di un’educazione non solo collettiva ma singola alla responsabilità. La parola stessa – responsabilità – ha conquistato il discorso pubblico, fin quasi ad allagarlo, trovando altre retoriche a sostenere la sua centralità: sicurezza, resilienza, ripresa, ripartenza…

Questo peso valoriale così forte sulla responsabilità ha opacizzato fino quasi a rimuovere l’impegno all’educazione alla libertà. La cura del pensiero critico che viene spesso evocato nominalmente nell’attenzione che gli adulti educatori devono mettere con i ragazzi non tiene conto delle condizioni mutate negli ultimi anni, e molto alterate dalla pandemia.

È istruttivo confrontare la lettera di Pinneri con il comunicato che i ragazzi del collettivo Osa hanno pubblicato ieri in risposta. Ecco questo secondo testo per intero:

"Vi chiedo di denunciare formalmente il reato di interruzione del pubblico servizio e di chiedere lo sgombero dell’edificio, avendo cura di identificare, nella denuncia, quanti possiate degli occupanti” e ancora: "Agli occupanti identificati occorrerà anche applicare le misure disciplinari previste dal regolamento interno di

ciascuna scuola e dell’occupazione si terrà conto nel determinare il voto in condotta"

Sono queste le parole che il direttore generale dell'ufficio scolastico regionale Lazio, Rocco Pinneri, utilizza per affrontare una situazione di mobilitazione generale che a Roma ha portano negli ultimi due mesi ad oltre settanta occupazioni scolastiche, numeri che non si vedevano da più da più di dieci anni.

Un dato cosi macroscopico deve fare riflettere il dottor. Pinneri cosi come tutti coloro che hanno in gestione il ruolo di direzione degli ambiti formativi nel nostro Paese, il Ministro Bianchi per primo. Quanto sta avvenendo a Roma, e in maniera minore in altre città come Firenze, Bologna e Torino, non può essere derubricato a questione di "ordine pubblico" ma chiama in causa profonde ferite che le giovani generazioni stanno vivendo dopo oltre due anni di convivenza con la pandemia.

Alle carenze strutturali di sempre del diritto allo studio si è aggiunto in questo periodo un vero e proprio blackout pedagogico, con centinaia di migliaia di studenti che hanno abbandonato gli studi e la perdita di credibilità del processo formativo come strumento di emancipazione. É tempo che si apra una discussione di ampio respiro sulla funzione sociale della scuola nella società in cui viviamo, capace di rimettere in discussione le fondamenta di un sistema che parla solo di competizione e meritocrazia e che ha perso ogni capacità di ascolto.

Crisi sanitaria, economica e sociale ed infine ambientale. Probabilmente molti giovani non hanno gli strumenti per conoscere nel dettaglio molti di questi temi, quello che però percepiscono chiaramente è che per loro non c'è futuro, non esiste prospettiva in questo mondo. Non è un caso infatti che, come denuncia il Prof. Stefano Vicari, responsabile di Neuropsichiatria dell'Infanzia e dell'Adolescenza del Bambino Gesù di Roma, siano in crescita tra gli adolescenti disturbi di ansia, irritabilità, stress e disturbi del sonno, fino ad arrivare ai casi estremi in aumento di autolesionismo e tentato suicidio.

Le occupazioni di queste settimane sono un segnale di allarme generale con cui gli studenti stanno comunicando la propria sofferenza al mondo e alla politica, la risposta non può e non deve essere il pugno di ferro della repressione. Sono già, invece, diversi i casi di sospensioni, denunce e sanzioni disciplinari di vario tipo disposte dalle scuole a danno degli studenti e delle studentesse in mobilitazione e sempre più frequenti terrificanti immagini di forze dell'ordine che, in divisa o in borghese, entrano dentro edifici scolastici e aggrediscono fisicamente gli studenti.

Facciamo dunque appello al mondo della cultura, agli insegnanti, alle organizzazioni di categoria, a giuristi e tutti coloro condividano quanto scritto affinché questi episodi e questo sistema di gestione delle proteste cessi immediatamente di essere applicato, in nome dell'agibilità democratica di questo Paese è necessario cogliere le spinte progressiste che vengono invocate dagli studenti aprendo un tavolo di confronto con tutte le parti chiamate in causa.

Gli studenti nominano due questioni precise: le proteste non possono essere derubricate a reati, e la loro mobilitazione parte da una sofferenza psichica e sociale che non può essere derubricata a mero disagio. La lettera di Pinneri invece offre due sole opzioni di confronto: la repressione o il paternalismo. Non riconosce, probabilmente non sa leggere la parola dell’interlocutore. Quando scrive: “Il problema principale che ne deriva è che le occupazioni violano il diritto costituzionale all'istruzione di quei numerosi studenti che non condividono il ricorso a tale strumento, indipendentemente dalla valutazione che facciano delle rivendicazioni, alcune delle quali riferite a problemi storici che siamo tutti impegnati a risolvere”, non è chiaro evidentemente quale sia stato, storicamente, il senso e il valore politico delle occupazioni: una misura estrema che non richiama soltanto un confronto sui “problemi storici che siamo tutti impegnati a risolvere”, ma pretende una modalità di confronto diverso e una radicalità d’intervento diverso.

Fare gli educatori è un mestiere complicato per tante ragioni, ma una delle cose che si impara facendolo che è una buona relazione educativa deve sapere riconoscere le istanze dell’interlocutore, altrimenti non esiste; e che tra le parole e le pratiche ci sia una tanta coerenza quanta disponibilità al cambiamento. Bell Hooks coglie in continuazione nelle pagine del suo libro queste difficoltà e insieme queste prospettive. Scrive a un cento punto:

Cambiare le strutture esistenti è terribilmente difficile perché l’abitudine alla repressione è la norma. L’educazione come pratica della libertà non riguarda solo la conoscenza libertaria, ma la pratica libertaria in aula. Tanti di noi hanno criticato quegli studiosi bianchi che a parole sostengono la pedagogia critica ma che non cambiano le loro pratiche in classe, affermando il privilegio di razza, classe e genere senza interrogare la propria condotta.

Per essere credibili nel nostro ruolo educativo come amministratori, dirigenti, docenti, dobbiamo in continuazione interrogare la nostra condotta e ragionare su come – oltre auspicarlo – rendere possibile il cambiamento.

La lettera di Rocco Pinneri Direttore dell'Ufficio Scolastico Regionale del Lazio:

Alle istituzioni scolastiche statali secondarie di secondo grado del Lazio e, p.c. Al Capo di Gabinetto del Ministro dell'istruzione cons. Luigi Fiorentino A S.E. il Prefetto di Roma cons. Matteo Piantedosi Al Questore di Roma dott. Mario Della Cioppa Al Capo del dipartimento per il sistema educativo di istruzione e di formazione dott. Stefano Versari

Oggetto: istituzioni scolastiche occupate.

Quest'anno vi sono state varie occupazioni studentesche e alcune sono ancora in

essere.

Siamo tutti consapevoli — voi come il sottoscritto — della delicatezza di tali situazioni, perché coinvolgono minori e soprattutto perché ci rammentano la necessità dell'ascolto. Per questo motivo voi ricorrete sempre a strumenti tipici dell'organizzazione scolastica, offrendo la vostra piena disponibilità nonché le alternative dell'assemblea o della co-gestione, che consentono di lasciare la scuola aperta a beneficio di tutti gli studenti e, contestualmente, aprono il dialogo necessario a comprendere le ragioni di ogni eventuale disagio. Ai dirigenti coinvolti ho sempre assicurato anche la mia personale disponibilità a ricevere una delegazione di studenti purché non vi sia un'occupazione in corso, non potendo ricevere chi sta commettendo un reato. Nelle occupazioni in essere tali tentativi sono stati esperiti senza, purtroppo, successo, forse anche per la presenza spesso cospicua di soggetti esterni alle scuole. Il problema principale che ne deriva è che le occupazioni violano il diritto costituzionale all'istruzione di quei numerosi studenti che non condividono il ricorso a tale strumento, indipendentemente dalla valutazione che facciano delle rivendicazioni, alcune delle quali riferite a problemi storici che siamo tutti impegnati a risolvere. Per questo motivo vi chiedo, ove vi troviate in questa situazione, di denunciare formalmente il reato di interruzione del pubblico servizio e di chiedere lo sgombero dell'edificio, avendo cura di identificare, nella denuncia, quanti possiate degli occupanti. Occorrerà anche che proseguiate il dialogo, con gli studenti e con le famiglie, per giungere a interrompere quanto prima la situazione di illegalità e per dare le risposte possibili alle richieste che vi saranno formulate. È importante che chi occupa capisca che violare il diritto dei loro compagni di scuola a frequentare le lezioni è un fatto grave, oltre che inutile vista la disponibilità di tutti al dialogo senza la necessità di azioni estreme ed illegali. Ribadite ai vostri studenti che dei temi di carattere più generale possono parlare anche con me — non mi son mai sottratto nelle rare occasioni in cui mi è stato chiesto — purché non stiano occupando. Molte delle occupazioni già terminate hanno lasciato danni all'interno delle scuole. Danni che non possono avere alcuna valenza politica e che esprimono solo vandalismo: arredi e dotazioni laboratoriali distrutti, infissi e impianti danneggiati, distributori automatici divelti e svuotati degli alimenti e delle monetine, controsoffitti infranti e fatti precipitare, furti a danno dei bar interni ecc. In due scuole le occupazioni hanno condotto a contagi per l'inosservanza delle misure di prevenzione. Si ha notizia di altri comportamenti preoccupanti quali assembramenti su tetti privi di parapetto o in altri luoghi pericolosi e ordinariamente inaccessibili, mentre vengono consumate bevande che potrebbero diminuire i livelli di attenzione. Ciò suscita ansia in chi ha a cuore il benessere dei propri studenti. Al termine dell'occupazione occorrerà che chiediate a chi è stato identificato di risarcire la spesa per la sanificazione della scuola assieme a ogni eventuale danno, non essendo giusto che se ne debba far carico la collettività, cioè persino quegli studenti che non hanno occupato e che sono stati già danneggiati, per la violenza di alcuni compagni o di esterni, perdendo giorni di lezione. Agli occupanti identificati occorrerà anche applicare le misure disciplinari previste dal regolamento interno di ciascuna scuola e dell'occupazione si terrà conto nel determinare il voto in condotta. Rimane fermo l'impegno di questo ufficio a proseguire il dialogo con i rappresentanti eletti degli studenti, con le associazioni rappresentative dei genitori nonché con quelle rappresentanze scolaresche che lo chiederanno, per approfondire le ragioni del disagio sfociato impropriamente nelle occupazioni, per illustrare le ragioni delle scelte sin qui compiute e per cercare anche assieme, quando possibile, nuove e migliori soluzioni.

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Christian Raimo è docente di filosofia e storia in un liceo romano, scrittore, collaboratore de La Stampa, Domani, Internazionale, la Repubblica e consulente scientifico di Treccani. Docente di scrittura narrativa, editing, scrittura di non-fiction in master e corsi universitari o organizzati da case editrici e agenzie letterarie. Autore di programmi TV e radio. È stato assessore alla cultura del municipio III di Roma. Il suo ultimo libro è “Scuola e Resistenza” (Altreconomia, 2024).
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