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Le torture dei narcos romani nel racconto di un pentito: “Pece bollente e aghi sotto le unghie”

Fabrizio Campogna è un broker della cocaina di medio livello, i suoi guai iniziano quando finisce in mezzo a uno scontra tra due gruppi. Da una parte il boss Bennato e il camorrista Molisso, dall’altra un gruppo della mala albanese. Ora collabora con la Procura di Roma a cui ha raccontato anche la violenza dei gruppi criminali che muovono centinaia di chili di droga.
A cura di Redazione Roma
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A Roma c'è un pentito che sta raccontando alla Procura di Roma un sacco di cose. Si chiama Fabrizio Campogna, ha 39 anni, è un nome di peso nel mondo del narcotraffico della capitale. La sua parola è presa in considerazione, sa muovere hashish e cocaina dai principali porti di ingresso in Europa fino alle piazze di spaccio, non è un boss ma è un nome rispettato. E racconta anche la brutalità e la violenza dei narcos.

In particolare racconta come gli uomini del boss Leandro Bennato torturano un anziono di 71 anni , Gualtiero Giombini, che faceva la "retta", ovvero teneva la cocaina in casa. Ma poi la droga gli viene rubata, un carico da 107 chili di cocaina, e Bennato scatena un'ondata di violenza per ritrovarla. A cominciare proprio dal torturare Giombini, è sicuro che sa più di quello che dice: "C’aveva lo scotch in bocca, stava su una sedia, gli mettevano gli spilli dentro le unghie e lui strillava, si lamentava, però non poteva gridare forte perché era imbavagliato… ma io ho visto poco, dottò, perché ho detto: “senti, a me ste cose non me le fa vedè. Era un signore grande, lo stavano a torturà…".

Gli inquirenti hanno aperto un fascicolo per morte in conseguenza di altro reato: il 71enne morirà di polmonite lo scorso 8 dicembre, debilitato dalle torture con aghi e pece, per essere stato tenuto nudo in pieno inverno in una cantina legato a una sedia.

Campogna piazza carichi di cocaina, è un "freelance" per così dire, e conosce bene gli equilibri delle mala romana, che vanno cambiando di continuo. Si sa muovere ma non sempre gli va bene. E proprio con Bennato e il suo socio, il camorrista Giuseppe Molisso entrerà in rotta. Il pentito si rifornisce dagli albanesi, in particolare da "Lolli", che da quanto racconta muove tra gli 80 e i 100 chili di cocaina dall'Olanda fino a Roma. A Bennato e Molisso non sta bene, e gli impongono la loro merce: "Mi dicevano: ‘A che prezzi stai? Che stampo c’hai? Perché preferisci fa’ mangià gli albanesi? Dacce ‘na mano, prenditene 50 chili'. Voleva fà un po’ il prepotente… da lì cominciano a mettersi per traverso… ".

Così a uno scambio soldi-droga si trova di fronte un uomo con un mitra Ak-47 e un altro con una pistola: prendono tutti i soldi, ma gli consigliano solo metà della cocaina, 10 chili invece di 20. Una rapina per colpire il suo fornitore albanese, una vendetta: "Non ce l’abbiamo con te ma con quel pezzo di merda, sennò te prendevamo l’orologio”, si giustificano loro Avevo un Daytona al polso, un Tennis con i diamanti…". Bennato gli aveva proposto di colpire gli affari di Lolli, ma lui si rifiuta: "Molisso mi ha detto: ‘tanto te lo sai dove manda il camion per scaricà, famogli direttamente tutto il camion". Troppo pericoloso, non vuole guai con gli albanesi, a lui le cose vanno come stanno.  Ma poi tutto cambia e Lolli e il gruppo di Molisso e Bennato trovano un accordo e iniziano a fare affari insieme. Tutto si incasina quando la cocaina viene rubata, e hanno il terrore della vendetta degli albanesi.

A raccogliere le parole del collaboratore ci sono i pm Giovanni Musarò e Francesco Cascini. Quando chiedono al 39enne perché i due gruppi erano di nuovo pronti a farsi la guerra nonostante fossero in affari insieme, risponde così: "Dottò, ma quando ce stanno due milioni di euro di mezzo l’amicizia finisce, se non mi paghi".

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