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Lazio zona gialla nel nuovo dpcm: come e perché può diventare area rossa o arancione

Il Lazio è stato inserito nell’area gialla’, quella che prevede meno restrizioni. Non è escluso, però, che, se la situazione dovesse peggiorare, possa passare in ‘area arancione’ e poi ancora in ‘area rossa’. Sebbene la regione amministrata da Nicola Zingaretti presenti buoni dati soprattutto per quanto riguarda il tracciamento e la capacità di testing, ci sono altri parametri, come l’aumento dei ricoveri, che cominciano a destare preoccupazione.
A cura di Enrico Tata
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Con il nuovo dpcm del presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, l'Italia è stata divisa in tre ‘aree': ‘rossa', ‘arancione' e ‘gialla', con misure differenziate a seconda della gravità della diffusione del coronavirus. Il Lazio resterà per almeno due settimane in ‘area gialla', quella che prevede meno restrizioni, ma non è escluso, se la situazione dovesse peggiorare, che possa passare in ‘area arancione' e poi ancora in ‘area rossa'. L'Istituto Superiore di Sanità e il Ministero della Salute hanno diffuso ieri le tabelle che riportano i dati e gli indicatori (sono 21 in totale) in base a cui sono state effettuate le scelte per la classificazione delle regioni. Non è possibile prevedere con esattezza quando e se la situazione del Lazio si aggraverà così tanto da prevedere nuove restrizioni, ma ci sono alcuni indicatori da tenere particolarmente d'occhio. Sebbene la regione amministrata da Nicola Zingaretti presenti buoni dati soprattutto per quanto riguarda il tracciamento e la capacità di testing, ci sono altri parametri, come l'aumento dei ricoveri, che cominciano a destare preoccupazione. I dati, tra l'altro, fanno riferimento alla settimana dal 19 al 25 ottobre (quindi non fotografano la situazione attuale e per questo alcune regioni stanno protestando). Lombardia, Piemonte, Calabria e Valle d’Aosta rientrano nell"area rossa'. In ‘area arancione' rientrano Puglia e Sicilia e nell"area gialla' sono state inserite tutte le altre regioni.

Perché il Lazio si trova in area gialla

Sulla ‘capacità di monitoraggio' l'indicatore principale utilizzato per l'analisi si riferisce al numero di casi sintomatici comunicati dalle Regioni in cui è indicata la data di inizio sintomi rispetto ai casi comunicati in totale. Riuscire a stabilire con esattezza quando siano cominciati i sintomi certifica il buon lavoro nella gestione dei pazienti: il Lazio è al 91 per cento e nella rilevazione precedente era al 93 per cento, in ogni caso "stabilmente sopra la soglia". Le Regioni peggiori, in questo senso, sono Liguria e Valle d'Aosta, dove il dato è in diminuzione e ‘sotto-soglia'. In particolare in Liguria, per esempio, si passa dal 73 al 49 per cento.

Dati Istituto Superiore di Sanità
Dati Istituto Superiore di Sanità

Gli indicatori dell'Istituto Superiore di Sanità

Altri indicatori riguardano la "classificazione della trasmissione e l'impatto". Viene considerato il numero di casi comunicati dalle singole regioni, la variazione dell'indice Rt (l'indice di trasmissibilità del virus), ma anche il numero di focolai attivi sul territorio, il numero di casi che non presentano link epidemiologici (e quindi non sono tracciati), il tasso di occupazione dei posti letto nei reparti ordinari e in quelli di terapia intensiva. I dati su Rt sono noti, mentre per quanto riguarda il numero di focolai, per esempio, sono in aumento in tutte le regioni, ma non in Lombardia (diminuiti di circa 250 in una settimana). Nel Lazio sono 420 (ed erano 236) con 175 nuovi focolai. Per quanto riguarda i casi non riconducibili a focolai noti, nel Lazio in una settimana sono stati solo 152, mentre in Lombardia sono stati oltre 18mila. Vuol dire che per 18mila persone risultate positive non sono note le catene di contagio, cioè non è possibile stabilire come e dove sia avvenuta l'infezione. Nel Lazio erano occupate il 17 per cento delle terapie intensive e il 27 per cento dei posti letto ordinari (il dato più preoccupante, in questo senso, è il 59 per cento dei posti letto già occupati in Valle d'Aosta).

Per il Lazio, come per la Lombardia o per il Piemonte, c'è la probabilità del 50 per cento che nei prossimi 30 giorni siano occupati più del 30 per cento dei posti nelle terapie intensive e più del 40 per cento nei reparti ordinari. Ad esempio questo rischio è più basso in Campania (probabilità di occupare le terapie intensive tra il 5 e il 50 per cento). Infine il Lazio presenta una possibilità "moderata" di "aumento di trasmissione" e un basso impatto di Covid-19 sui servizi assistenziali. In alcune regioni questi parametri non sono valutabili perché mancano i dati e in Calabria l'aumento di trasmissione è classificato come "alto". Nel Lazio la classificazione complessiva del rischio è "moderata con probabilità alta di progressione". La classificazione complessiva del rischio è ad esempio alta in Calabria, in Puglia, in Lombardia, in Sicilia e in Piemonte, mentre è moderata in Campania.

Le regioni sono classificate in base al rischio valutato in base agli indicatori menzionati e comparato con l'indice Rt: un Rt superiore a 1,5 (scenario 4) e valutazione di rischio alto prefigura l'inserimento di una regione in ‘area rossa'. Una regione viene inserita in ‘area arancione' se il rischio viene valutato alto, ma l'indice Rt è compreso tra 1,25 e 1,5.

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La terza dimensione degli indicatori dell'Istituto Superiore di Sanità riguarda la ‘resilienza' dei servizi sanitari, cioè la loro capacità di risposta all'emergenza. Viene analizzata la percentuale di tamponi positivi sul totale (escludendo quelli relativi alle attività di screening e i test effettuati più volte sugli stessi soggetti), il tempo che trascorre tra la data di inizio sintomi e la data di diagnosi, quanto personale ha a disposizione una determinata Regione per le attività di contact tracing e di testing (tamponi) e infine su quanti casi sia stata eseguita effettivamente una indagine epidemiologica per cercare i contatti stretti del paziente positivo.

Per quanto riguarda la percentuale di tamponi positivi sul totale il dato è molto alto in Lombardia, 22 per cento circa, ma sta crescendo anche nel Lazio, dov'è arrivato al 18 per cento (si ricorda che vengono escluse le attività di screening): significa che 18 persone su 100 tamponi effettuati sono positive. Nel Lazio ci vogliono tre giorni dalla comparsa dei sintomi per avere una diagnosi, ce ne vogliono 3 in Lombardia e 4,5 in Valle d'Aosta. Sono impiegate per l'attività di testing e contact tracing esattamente 1070 persone nel Lazio, cioè 1,8 ogni 10mila abitanti, ma in Calabria, ad esempio, sono solo 151 (cioè 0,8 ogni 10mila abitanti). Nel Lazio viene condotta un'analisi epidemiologica nel 97 per cento dei casi, mentre in Lombardia solo nel 52 per cento dei casi e in Liguria per il 44 per cento dei casi. In sintesi nel Lazio è stata segnalata una sola allerta su questo gruppo di indicatori e cioè che il rapporto casi positivi/test è in aumento e sopra il 15 per cento. In molte regioni le allerte segnalate sono 2.

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