L’avvocato di Paolo Calissano finisce ai domiciliari: “Ha rubato più di 800mila euro”
Peculato aggravato e falsità ideologica: sono queste le accuse che pendono su Matteo Minna, l'avvocato e amministratore di sostegno di Paolo Calissano, l'attore trovato senza vita il 29 dicembre del 2021 per overdose di farmaci.
Nei confronti del legale sono scattati i domiciliari, insieme al sequestro di beni e conti correnti, su richiesta della Procura di Genova: si sarebbe appropriato del denaro di Calissano e di altri amministrati, come riportato da il Messaggero. In breve, secondo le accuse, avrebbe redatto fatture false per giustificare i prelievi: i soldi, però, sarebbero stati intascati dallo stesso avvocato.
Le accuse nei confronti dell'avvocato
Secondo quanto contestato dagli inquirenti, il legale si sarebbe appropriato di 817.326 euro: da qui l'accusa di peculato aggravato. Fra gli altri reati contestati anche la falsità ideologica per aver realizzato false relazioni di sintesi sull'andamento delle amministrazioni di sostegno a lui affidate, la falsa perizia per errore determinato da inganno che avrebbe presentato al giudice tutelare di Genova incaricato di analizzare la gestione patrimoniale e la regolarità dei rendiconti, inducendolo in errore.
Numerose le irregolarità riscontrate dagli inquirenti nella gestione dei patrimoni amministrati dall'avvocato che si sarebbe approfittato dell'età avanzata o delle fragilità dei suoi clienti e non avrebbe presentato rendiconti.
I prelievi di denaro rubato ai clienti
L'avvocato che, fra gli altri, amministrava anche i beni di Paolo Calissano, avrebbe prelevato ripetutamente il denaro dai conti correnti degli assistiti per poi appropriarsene versandolo sul suo conto personale. Avrebbe giustificato i prelievi con fatture false per compensi per assistenza legale o per altre prestazioni professionali che, però, non sarebbero mai esistite. Sarebbero false anche, come anticipato, le relazioni periodiche di sintesi sulle amministrazioni di sostegno e le fatture presentate al Ctu: avrebbe presentato numeri e date relative ad altre fatture o, ancora, duplicazioni di altri documenti emessi in precedenza per lo stesso cliente. Così avrebbe giustificato i movimenti di denaro, prima di entrare nel mirino degli inquirenti.