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Opinioni

La vicenda dell’As Roma dimostra che non bastano le panchine rosse per contrastare la violenza di genere

Un giocatore della Roma Primavera invia a decine di persone un video intimo rubato a una donna. Lui ci ha rimesso (forse) una tirata d’orecchi, lei è stata licenziata. La risposta del club è zoppicante e insufficiente, a dimostrazione del fatto che in Italia abbiamo un serissimo problema con la violenza di genere.
A cura di Natascia Grbic
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Un calciatore della Roma Primavera chiede a una dipendente della società di prestarle il telefono per fare una chiamata. Succede che – non si sa per quale motivo – accede alla galleria del cellulare e trova un video intimo che la ritrae insieme al compagno. Il ragazzo cosa fa? Lo invia prima al proprio telefono e poi ai compagni di squadra. E così quelle immagini, che sarebbero dovute rimanere private, vengono viste da decine di persone. Quello che succede successivamente è kafkiano: la società licenzia la ragazza, mentre nulla accade al giocatore e ai suoi amici, che continuano la loro promettente carriera di calciatori prossimi alla serie A.

La vicenda sarebbe rimasta sottotraccia se non fosse stata resa nota dal giornalista Alessandro Mantovani sulle pagine de Il Fatto Quotidiano. Un'ondata di indignazione ha travolto il Paese, rimasto col fiato sospeso per quasi 24 ore in attesa della presa di posizione dell'As Roma. Una risposta zoppicante, che ci dimostra ancora una volta – se mai ce ne fosse stato bisogno – come in Italia il problema della violenza di genere sia ben lungi dall'essere risolto (e, in questo caso, anche solo minimamente percepito).

Lo diciamo senza troppi giri di parole: la risposta dell'As Roma è insufficiente e altamente problematica dal punto di vista discriminatorio. Il comunicato parla di una presunta violazione del codice etico e di un provvedimento che "ha riguardato contestualmente (­lo stesso giorno e alla stessa ora) anche il ragazzo coinvolto nei fatti". Il licenziamento, invece, è stato motivato con "la sussistenza di una trattativa privata riguardante corsie preferenziali lavorative". Tutto a posto quindi? Manco per niente, come si dice a Roma.

Se vi sia stato un comportamento contrario al codice etico della società si vedrà nelle sedi opportune, sindacali e giudiziali. Ma quanto accaduto, intanto, ci parla di tutt'altro: ci parla di una società che non prende provvedimenti nei confronti di un giocatore che ha ammesso di aver rubato e diffuso un video intimo, inviandolo ai compagni di squadra (uomini). La donna è stata sanzionata, chi ha commesso un gesto così violento (e, per quanto non denunciato, un reato) no. Alla luce di questi fatti, l'aver installato panchine rosse nella città rischia di sembrare un gesto di facciata e poco consapevole.

L'AS Roma si è difesa spiegando di non aver avuto comportamenti sessisti, perché anche "il ragazzo coinvolto nei fatti" è stato licenziato. Si parla ovviamente del compagno della donna, non del giocatore. Ed è qui che si sviluppa un altro cortocircuito: il comportamento sessista, la violenza di genere, non sta tra la ragazza e l'uomo con cui ha fatto sesso, ma tra la ragazza e chi ha diffuso il video. L'aver licenziato anche il compagno non vuol dire non essere sessisti. È nel rapporto tra la vittima e il giocatore della Primavera che c'è stata disparità. Non aver capito nemmeno questo, è indice del fatto che per sradicare comportamenti machisti e patriarcali la strada da percorrere è ancora tutta in salita.

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Giornalista dal 2013, redattrice alla cronaca di Roma di Fanpage dal 2019. Ho lavorato come freelance e copywriter per diversi anni, collaborando con vari siti, agenzie di comunicazione e riviste. Laureata in Scienze politiche all'Università la Sapienza, ho frequentato nel 2014 la Scuola di giornalismo della Fondazione Lelio Basso.
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