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La storia di Robert, sfruttato al ristorante giapponese Goya: “Così pochi soldi che dormivo in strada”

L’indagine della polizia e dell’Ispettorato del Lavoro, prosegue e si allarga anche alla cooperativa che “riforniva” il ristorante giapponese Goya di manodopera clandestina. Chiuso il noto locale che impiegava 29 lavoratori vittime di capolarato, tra loro Robert che non aveva trovato posto neanche nella mansarda sopra il ristorante dove vivevano stipati i suoi colleghi.
A cura di Emilio Orlando
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Tra i 29 tra camerieri, lavapiatti e addetti alle pulizie che venivano sfruttati dal titolare, un cittadino giapponese che con la moglie aveva rilevato la gestione del ristorante Goya in via Giggi Spaducci 6 su via Nomentano, c'è anche quella di un ragazzo di nome Robert ( il nome è di fantasia ndr).

Il giovane durante le "interviste" degli ispettori del lavoro, procedure per cui viene chiesto ai lavoratori di raccontare i loro rapporti con i datori, a cui hanno preso parte anche gli agenti della polizia amministrativa del distretto di San Basilio del primo dirigente Isea Ambroselli, che ha ordinato il blitz, ha raccontato la sua drammatica storia.

Sfruttato, sottopagato, non gli è stato rinnovato neanche il permesso di soggiorno perché risultava di fatto disoccupato, nonostante lavorasse, ma in nero per dodici ore al giorno. L'operaio, era stato reclutato, da una cooperativa "fantasma" che procaccia manodopera a basso costo per conto di imprenditori senza scrupoli,  i cui titolari grazie al caporalato conducono una vita "dorata", con Suv di grossa cilindrata, orologi di lusso e senza particolari problemi a cui pensare per il domani.

Il ristoratore poi non esitava a minacciare il licenziamento in tronco qualora qualcuno si ribellasse e protestasse perché il lavoro nelle cucine, dove tra fili elettrici scoperti, sudiciume, pentole incrostate e un odore nauseabondo di cibo avariato, lavoravano per dodici ore. La storia di Robert è simile a quelle dei suoi connazionali orientali, chi cinese, chi bengalese e chi indiano che emigrano dal loro paese in Italia e in altre capitale europee per cercare una vita e un futuro migliore, rispetto a quello che hanno in patria ma finiscono nelle maglie del caporalato.

Quando nel 2020 entra in Italia, attraverso gli amici che già erano arrivati da qualche anno, conosce la titolare della cooperativa che lo fa lavorare, sempre a nero, in diversi ristoranti di Roma, fino a quando gli viene proposto un impiego, formalmente part time, ma di fatto full time, al "Goya", dove nonostante il magro stipendio che non gli permetteva nemmeno di poter affittare una casa, ha continuato a lavorare fino alla chiusura del locale da parte della polizia. Sulla vicenda continuano le indagini anche il collaborazione con la Guardia di Finanza e con i detective dell'Agenzia delle Entrate, scesi in campo dopo l'informativa inviata dal distretto di San Basilio in Procura.

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