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La storia di Noemi, morta di disturbi alimentari: “Voleva essere farfalla ma si sentiva elefante”

Aumentano del 30% in Italia i casi di disturbi del comportamento alimentare, sempre più spesso associati a un’altra diagnosi psichiatrica. Le strutture sono poche e impreparate ad affrontare una malattia complessa e difficile da curare.
A cura di Redazione Roma
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Noemi Savini era una ragazza romana di quasi 25 anni. Era perché è morta lo scorso 30 novembre, sopraffatta dalla sofferenza psichica legata ai disturbi del comportamento alimentare. A raccontare a Fanpage.it la storia è Susy Polito, mamma di Noemi, che con lei ha peregrinato per anni in cerca di una cura.

"Pronto, c’è un posto per sua figlia"

Il 14 gennaio 2022 Susy Polito riceve la chiamata che migliaia di genitori con un figlio che soffre di disturbi del comportamento alimentare aspettano da mesi, se non da anni: "Buongiorno, è la clinica, volevamo avvertirla che domani si libera un posto per sua figlia". Ma Noemi Savini, la ‘bambina' di Susy, ormai non c’è più. Se n’è andata lo scorso 30 novembre buttandosi dal quinto piano di un palazzo, perché, dice la mamma:  "Voleva mettere fine al suo dolore". Quello di una ragazza di nemmeno 25 anni che per metà della sua vita ha sofferto di disturbi del comportamento alimentare, patologie esplose con la pandemia, tanto da registrare, negli ultimi due anni, un incremento del 30% nel numero dei casi, che oggi in Italia arrivano a 2.9 milioni.

Ma, come riportato nell’ultimo report Ma.nu.al, il manuale statistico diagnostico dei disturbi della nutrizione e dell’alimentazione redatto dall’Istituto Superiore di Sanità, al 21 dicembre 2021 erano solo 8.000, cioè meno di un terzo sul totale, le persone in carico ai 91 centri pubblici attrezzati per la cura di queste patologie. Numeri a cui si aggiungono qualche decina di cliniche private convenzionate, che però non cambiano in maniera sostanziale una tendenza drammatica: liste d’attesa anche di due anni per i ricoveri nei centri riabilitativi, regioni (come il Molise) totalmente prive di strutture e servizi specializzati, un indice di mortalità dalle 5 alle 10 volte maggiore per i malati di anoressia, bulimia e binge (disturbo da alimentazione incontrollata).

"Voleva essere una farfalla, ma si sentiva un elefante"

"Noemi aveva iniziato quando era poco più che una bambina – racconta Susy, che vive a Roma e fin da subito si è prodigata per curare la figlia – Le era stato diagnosticato un disturbo borderline di personalità, che è un contenitore di patologie, in lei le manifestazioni più forti erano l’anoressia, alternata alla bulimia, e l’autolesionismo". La comorbidità psichiatrica, cioè la presenza di una doppia diagnosi, è una condizione sempre più diffusa, soprattutto negli ultimi anni, in chi soffre di patologie legate al comportamento alimentare. "Il problema – osserva il dottor Leonardo Mendolicchio, medico psichiatra e psicoterapeuta che da anni cura queste malattie – è che in Italia la quasi totalità dei centri non è attrezzato per far fronte a entrambe le diagnosi, quindi, nel migliore dei casi, viene trattato solo un disturbo, a discapito dell’altro". È quanto è accaduto più volte a Noemi, che veniva rimbalzata da una clinica all’altra senza riuscire a migliorare davvero: "Aveva perso fiducia nei medici e nella terapia – dice la madre – e nell’ultimo periodo si era buttata su droga e alcol per compensare la mancanza d'aiuto. L’ennesimo fallimento è stato il 7 ottobre, quando la direttrice di una clinica ci ha chiamati per dirci che non potevano accettare Noemi. Molti medici si erano arresi, mi avevano detto che mia figlia era un caso troppo grave".

Ma Noemi aveva una malattia, non era la sua malattia. "Era un’artista – ricorda la mamma – si tingeva sempre i capelli di con colori strani, amava disegnare e lo faceva per lo più a penna, manifestando lì il suo dolore, ma anche la speranza di guarire. Stava studiando per fare piercing e tatuaggi". E proprio con un tatoo Noemi rivive in ogni momento sul braccio di Susy: "Non ho mai amato i tatuaggi, ma le avevo promesso che, quando sarebbe guarita, ce ne saremmo fatte uno uguale, insieme. Non abbiamo avuto il tempo, ma ho deciso di mantenere la promessa e mi sono fatta tatuare sul braccio un fiocchetto lilla, simbolo della lotta ai disturbi del comportamento alimentare, e una farfalla. Perché Noemi voleva essere una farfalla, solo che si sentiva intrappolata in un corpo da elefante: non lo sopportava il suo peso, anche 32 chili per lei erano troppi. Ho scelto le braccia perché erano il suo punto debole, lì manifestava il suo dolore attraverso l’autolesionismo».

"Non sappiamo ancora curare questa malattia"

"Dobbiamo avere il coraggio di dire – ammette Mendolicchio – che non sappiamo ancora curare bene questa malattia. E che la burocratizzazione della medicina, soprattutto in questo tipo di patologie, può condannare a morte una ragazza". Come, appunto, Noemi. "Lo diceva che non ce la faceva più e non era la prima volta che provava a togliersi la vita – racconta Susy – Due anni fa, quando fu salvata per miracolo, mi disse: "Bene, adesso so come devo fare, la prossima volta non sbaglierò". Ma purtroppo così non è stato, nonostante ci siano stati anche professionisti e centri che hanno tentato in tutti i modi di salvarla: "Il problema – dice la mamma – è che tante strutture funzionano per il periodo del ricovero, che è un’isola felice, per i pazienti e per noi genitori, che tiriamo un sospiro di sollievo. Ma poi, una volta fuori, c’è il nulla".

Anche per questo il piano allo studio del Ministero della Salute è un rafforzamento della rete di cura, che preveda in ogni regione tutti i gradi di assistenza: l’ospedale, per le acuzie, i centri riabilitativi, i day-hospital e il servizio ambulatoriale. Nell’ultima legge di bilancio sono stati stanziati 25 milioni per la cura di queste patologie e recentemente i disturbi del comportamento alimentare sono stati inseriti nei livelli essenziali di assistenza, lea, come malattie a sé stanti. Passi avanti che segnano un cambiamento importante e che al tempo stesso testimoniano l’emergenza: "La pandemia – commenta Mendolicchio – è stata come un acquazzone che ha fatto saltare i tombini, slatentizzando le fragilità e riversandole sul cibo e sul corpo, ma questa è anche l’opportunità per superare l’inadeguatezza di un sistema in cui, finora, è mancata una vera cultura clinica sulla cura dei disturbi alimentari".

"Si ammala tutta la famiglia"

Nel frattempo per Susy restano il vuoto e il dolore, che questa donna forte cerca di combattere aiutando gli altri: "Per il funerale di Noemi ho chiesto che venissero fatte donazioni per tutte quelle realtà di volontariato che si occupano di anoressia, bulimia e binge. Quando sarò pronta, proverò a stare vicino ad altri genitori come me, perché bisogna dirlo, che quando una ragazza o un ragazzo si ammala di disturbi dell’alimentazione, si ammala tutta la famiglia".

Articolo a cura di Chiara Daffini

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