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La sfida di Enrico il fornaio di Amatrice: “Rimango ma è dura, in tanti non sono più tornati”

Enrico Marini fa il fornaio ad Amatrice, dove ha rilevato l’attività di famiglia aperta nel 1955. Ma dopo il terremoto un vero ritorno alla normalità non c’è mai stato: “Mancano le persone, andare avanti lavorando solo il mese di agosto non è sostenibile”.
A cura di Simona Berterame
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Enrico Marini ha voluto mettere questa scritta sul muro del suo negozio: "Mi hanno sepolto ma quello che loro non sanno è che io sono un seme". Questo è un po' il suo motto, la frase che continua a ripetersi per restare nonostante tutto nella sua Amatrice. Enrico non ha mollato neanche dopo aver perso in una sola notte il negozio di famiglia, la casa e la madre. Appena tre anni prima del sisma del 24 agosto 2016, Enrico aveva deciso di prendere in mano il forno di famiglia, un'attività aperta dai genitori nel centro di Amatrice nel 1955. Negli anni Novanta la famiglia Marini, dopo la morte del padre di Enrico, aveva ceduto l'attività. Poi Enrico ha sentito il desiderio di ritornare a casa, riavvicinarsi alle sue origini e seguire le orme del papà. "È stato il richiamo della farina!", dice ridendo.

Il terremoto e la difficile ripartenza

Oggi il Forno Marini si trova all'interno del centro commerciale di Amatrice, costruito circa un anno dopo il sisma per permettere alle vecchie attività commerciali di ripartire. Ma senza il turismo di una volta, senza le seconde case e senza un solido tessuto sociale, fare l'imprenditore ad Amatrice è una vera impresa. Enrico non vuole arrendersi, ma dopo 6 anni il bilancio ha un sapore amaro: "Mancano le persone, andare avanti lavorando solo il mese di agosto non è sostenibile".  Qui Enrico ha costruito anche la sua famiglia. Lui e Fabiana sono stati i primi amatriciani a sposarsi dopo il sisma che ha cancellato il paese. Dopo le nozze sono arrivati due figli, la prima nata due giorni dopo del primo anniversario del terremoto. Enrico e Fabiana stanno facendo di tutto per restare anche per i loro bambini, perché vorrebbero farli crescere tra le stesse montagne della loro infanzia.

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