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La prima ‘ndrina made in Roma, al comando due boss: “Siamo una propaggine di là sotto”

Al comando c’erano due boss, Vincenzo Alvaro, figlio di Nicola, detto ‘u beccausu’, e Antonio Carzo, figlio di Domenico, detto Scarpacotta.
A cura di Enrico Tata
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"Noi a Roma siamo una propaggine di là sotto". Una ‘ndrina a tutti gli effetti, con gli stessi riti e linguaggi della casa madre. Al comando c'erano due boss, Vincenzo Alvaro, figlio di Nicola, detto ‘u beccausu', e Antonio Carzo, figlio di Domenico, detto Scarpacotta. Avevano ricevuto nel 2015 dalla ‘mamma' l'autorizzazione per costituire una ‘locale' a Roma, una succursale della cosca a tutti gli effetti. Le regole delle ‘ndrine prevedono che per aprire una nuova struttura collegata alla casa madre debbano esserci almeno 49 affiliati. Molti di questi sono stati arrestati oggi su disposizione della Direzione Distrettuale Antimafia di Roma al termine dell'inchiesta denominata ‘Propaggine', parola che richiama l'intercettazione riportata in precedenza. Tra coloro che sono finiti in manette, 43 persone in tutto, ci sono anche un commercialista e un dipendente bancario.

L'inchiesta ‘Propaggine' sulla  ‘ndrina di roma

I due boss, hanno ricostruito i procuratori aggiunti Michele Prestipino e Ilaria Calò, sono entrambi appartenenti a storiche famiglie di ‘Ndrangheta originarie di Casoleto, paese in provincia di Reggio Calabria. Nel 2015 la cosca Alvaro ha deciso di aprire una ‘locale' nella Capitale e "con la propria capacità di intimidazione ha creato una stabile ed autonoma struttura criminale". Secondo gli inquirenti la particolarità della ‘ndrina romana è che non aveva come obiettivo il controllo del territorio, ma l'avvio di investimenti e il riciclaggio di denaro, soprattutto sfruttando attività commerciali e ancora più nello specifico, ristoranti, bar, forni e pasticcerie. Fino al 2015, hanno messo in evidenza gli inquirenti, a Roma non c'erano organizzazioni strutturate di ‘ndrangheta, sebbene già operassero nella Capitale soggetti riconducibili alle ‘ndrine o comunque appartenenti a famiglie mafiose. Nell'estate di quell'anno Carzo avrebbe ricevuto dai vertici della ‘ndrangheta l'autorizzazione per costituire una struttura locale a Roma. Nei confronti di gran parte degli indagati viene contestata l'associazione mafiosa, la cessione e detenzione di droga, l'estorsione e la fittizia intestazione di beni.

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