La pandemia non ci ha insegnato niente? Nel Lazio il prossimo anno 1000 medici di base in meno
A Roma e nel Lazio mancano i medici negli ospedali, e in particolare nei pronto soccorso (vedi le trecento borse per medicina d'urgenza andate deserte), ma anche sul territorio. Il 25% dei medici di base si appresta ad andare in pensione e circa 250.000 cittadini rischiano di trovarsi senza dottore di riferimento. Nonostante la pandemia ha dimostrato la necessità di rafforzare la medicina territoriale, invertendo la tendenza rispetto al modello di una sanità costruita attorno a grandi centrali ospedaliere demandando gran parte delle altre prestazioni al privato convenzionato, la prima fila della medicina generale si trova ad oggi drammaticamente sguarnita.
Un quadro della situazione lo fa a Fanpage.it Pier Luigi Bortoletti, vicepresidente della Federazione italiana dei medici di medicina generale: "Rispetto ai quasi 5.000 che eravamo solo qualche anno fa, ora arriviamo a malapena a 4.000. C’è una penuria di circa mill tra medici, pazienti e pediatri. La nostra è una categoria un po’ anziana, molti sono entrati in età pensionabile. Prima c'era una tendenza ad aumentare l'età in servizio anche oltre i settanta anni, oggi a contrarla anche per l'arrivo del Covid". Ma non si poteva fare qualcosa prima? "Sono anni che lanciamo l'allarme – spiega Bortoletti – e oggi i problemi annunciati sono arrivati. dato che cercavamo di ricordare tutti gli anni che ci sarebbero stati problemi, e i problemi sono arrivati: aumentano le uscite e non c'è reintegro".
Ma di chi è la colpa e come porre rimedio in tempi brevi? Secondo l'assessore regionale alla Sanità re Alessio D'Amato non è un problema specifico del Lazio, ma una questione nazionale "perché negli anni, purtroppo, le borse di specializzazione a livello nazionale sono state inferiori alle effettive disponibilità". C'è poi la difficoltà di coprire le aree interne e le zone periferiche, dove i medici di base che vanno in pensione trovano un sostituto con ancora maggiore difficoltà. "Abbiamo dato carta bianca ai direttori delle Asl per mettere in atto tutte le azioni utili ad andare velocemente alle sostituzioni", afferma D'Amato. Ma per ora soluzioni all'orizzonte non sembrano esserci.
Ascoltando poi alcuni medici di base con decenni di servizio sulle spalle nella capitale, ci sono alcune specifiche caratteristiche della professione che la renderebbero poco attrattiva per i giovani medici "Abbiamo tutti gli oneri dei dipendenti e nessun beneficio della libera professione, questo andrebbe detto. Lei lavorerebbe in un sistema che non le garantisce tutele?", spiega Cristiana Patrizzi. Secondo la dottoressa "la medicina di base, anche in tutte le rivelazioni statistiche, è quella più gradita", eppure chi svolge questo ruolo sarebbe "considerato marginale nel sistema sanitario".
Carla Bruschelli sottolinea come i "giovani ci sono" ma la medicina territoriale "non è resa appetibile per chi si affaccia alla professione", e nei territori periferici nessuno apre uno studio. Eppure la centralità del rapporto con pazienti e territorio emersa durante la pandemia è sotto gli occhi di tutti. Ed è il caso di correre in fretta ai ripari invertendo la tendenza per non mandare in tilt un sistema già fragile.