"La mia non è sete di vendetta ma di giustizia". Si può riassumere così lo spirito che ha animato il cuore di Marina Conte. La donna da più di 5 anni lotta, insieme al marito Valerio, nelle aule di tribunali chiedendo una giusta pena per la morte del figlio Marco Vannini.
Trenta, venti, dieci anni non riporteranno indietro il giovane Marco, morto dopo ore di agonia la notte tra il 17 e il 18 maggio 2015 per un colpo di pistola sparato dal suocero Antonio Ciontoli. No, alla famiglia Vannini interessa il capo di giudizio. A gennaio 2019 con la sentenza di secondo grado, Ciontoli era stato condannato a 5 anni per omicidio colposo.
"La vita di un ragazzo di 20 anni non può valere 5 anni", aveva gridato Marina ma il vero tema per loro era un altro. La condotta dell'intera famiglia Ciontoli doveva essere valutata come omicidio volontario, perché Marco si poteva salvare e tanto ha pesato il ritardo nei soccorsi.
Questa è diventata la battaglia di Marina e di Valerio: il riconoscimento delle responsabilità, nella consapevolezza che né gli anni di carcere né la pena inflitta potranno lenire il loro dolore. Al contrario la mancata individuazione di responsabilità precise e della gravità della condotta di Antonio Ciontoli e dei suoi familiari sarebbe stata intollerabile.
Una lezione di stile nel dolore quella di Marina Conte che, più del marito, è stato il volto e la voce della loro battaglia. Marina ha spiegato ai milioni di cittadini che hanno empatizzato con lei, con la sua storia, con la sua perdita che la giustizia c'è, che ha i suoi tempi per arrivare, e che è una cosa molto diversa dalla vendetta. In un paese dove si urla alla pena di morte, al castigo comminato senza passare per un'aula di tribunale, a seppellire vivi uomini e donne colpevoli, dobbiamo per la sua lucidità dobbiamo ringraziarla.
La sentenza del processo bis
Ieri è arrivata la sentenza tanto attesa per la famiglia di Marco: omicidio volontario per tutta la famiglia Ciontoli. La Corte d'Appello d'Assise di Roma ha condannato infatti Antonio Ciontoli a 14 anni di reclusione per omicidio volontario, 9 anni e 4 mesi i due figli Federico e Martina e la moglie Maria Pezzillo. Per loro il reato è concorso anomalo in omicidio volontario. I giudici hanno perciò accolto quello che era il desiderio della famiglia da 5 lunghi anni. Omicidio volontario perché la morte di Marco si sarebbe potuta evitare senza le tante bugie e la negligenza nel chiamare i soccorsi. "Se l'avessero soccorso subito sarebbe qui e noi non saremmo stati davanti a queste telecamere – ha detto Marina visibilmente commossa pochi minuti dopo la sentenza – La giustizia esiste e non dovete mai demordere, dovete sempre lottare".