La garante dei detenuti di Roma: “Chiudere Regina Coeli? Trasformiamolo in un carcere museo”
Due vittime in due dei principali istituti penitenziari del Lazio. È il bilancio, drammatico, dello scorso fine settimana: al Mammagialla di Viterbo un uomo è morto per un malore ed un altro è stato salvato dagli agenti mentre tentava di suicidarsi, a Roma invece un ragazzo di 21 anni si è tolto la vita a Regina Coeli mentre si trovava da solo in cella per il sospetto che fosse affetto da scabbia. Dopo aver raccontato la cronaca di quanto accaduto, facciamo il punto sulla situazione assieme a Valentina Calderone, garante dei diritti delle persone private della libertà personale della città di Roma.
Due morti e un suicidio sventato solo nell'ultimo fine settimana: come si commentano fatti del genere?
Commentare ogni suicidio in carcere è una sensazione di gigantesco fallimento per un sistema che non riesce a prevenire ma che, anzi, probabilmente amplifica il senso di disagio, soprattutto quando succede a una persona di vent'anni. Nel momento in cui c'è una così alta percentuale di persone che si tolgono la vita all'interno dei penitenziari rispetto a quanto poi succede per le persone libere, questo dato non può essere sottovalutato.
Quali sono le cause di questi avvenimenti, divenuti ormai sempre più frequenti?
Io punto il dito sull'amministrazione penitenziaria e su che cos'è l'organizzazione del sistema carcerario nel nostro Paese, che sicuramente bene non fa: sappiamo che i momenti più complicati per un detenuto sono i primi mesi dall'ingresso e, paradossalmente, quelli che anticipano l'uscita, perché la disabitudine a pensarsi al di fuori e a ricostruirsi una vita può generare momenti di grande stress che possono portare a decisioni estreme. Esistono poi gravi problemi di organico e una grande difficoltà ad attrarre risorse che abbiano voglia di lavorare all'interno del carcere: la carenza di personale è un grave tema per tutte le professioni mediche, che inevitabilmente si riversa anche sugli istituti penitenziari.
Nei giorni scorsi il PD ha presentato al sindaco di Roma, Roberto Gualtieri, una mozione per valutare l'idea di chiudere definitivamente Regina Coeli, proprio in concomitanza con la decisione del Governo di inasprire le pene per i minori fino ai 14 anni d'età nell'ambito del tanto discusso decreto Caivano. Chiudere un carcere e, contemporaneamente, allargare la cerchia di coloro che possono entrarci: com'è possibile conciliare queste due visioni?
Chiudere Regina Coeli e pensare di aprire delle caserme mentre ci si inventa nuovi reati: le cose sono inconciliabili. Il sistema penitenziario è al collasso e scoppia: carceri ultra affollate, in cui il malcontento e le tensioni aumenteranno a causa del ritorno ad alcune "strettoie" dell'era precovid, come quelle sulla limitazione alle telefonate verso i propri familiari. D'altro canto, ne esce intaccato anche il sistema carcerario minorile che ci era invidiato da tutti i paesi europei perché riuscivamo a evitare nella maggior parte la carcerazione: insomma, uno sfacelo su tutta la linea.
Cosa ne pensa, in definitiva, della proposta di chiudere Regina Coeli?
Anche se sono consapevole delle sue forti criticità, penso che chiudere Regina Coeli non sia la cosa giusta da fare: la soluzione proposta non mi convince perché c'è bisogno di un ragionamento più complesso se vogliamo veramente arricchire il percorso di reinserimento delle persone. Credo, piuttosto, che sia importante mantenere Regina Coeli come un presidio culturale: le celle storiche di Pertini e Saragat potrebbero costituire il fulcro di una sezione museale con cui dare nuovo slancio vitale al territorio attorno all'istituto penitenziario, fondamentale per ricordarci che il carcere è parte integrante della nostra città. Ci serve per non dimenticarlo, ma riconosco come si tratti di una serie di valutazioni sempre un po' faticose da affrontare collettivamente.
Secondo i dati del rapporto Antigone, Regina Coeli conta una popolazione di 1009 detenuti a fronte di una capienza massima di 615: in attesa delle mosse della politica, cosa si può fare nell'immediato per migliorare le condizioni di vita dei detenuti?
Fare uscire 15mila detenuti in tutta Italia che sono sotto i due anni di pena: bisogna evitare che il carcere sia la pena fino all'ultimo giorno e, soprattutto, bisognerebbe trovare dei modi un po' più intelligenti per evitare il carcere a chi ha meno di due anni di pena proprio perché i detenuti che devono scontare una pena più breve non vengono praticamente neanche presi in considerazione data la carenza di personale e finiscono per restare nell'invisibilità. Come si può pensare di fare un lavoro mirato sulle persone avendone in carico 150? È impossibile e quindi vengono fatte delle scelte, che nella maggior parte dei casi derivano dal tempo a disposizione per impostare un percorso insieme. E chi non ha tempo aspetta che la sua condanna finisca, in totale abbandono.