La condizione di Conte per l’accordo PD – M5S nel Lazio: alleati in tutta Italia o nulla
Se fosse per le forze politiche a livello locale l'accordo tra Partito Democratico e Movimento 5 Stelle sarebbe già cosa fatta, ma la decisione sarà presa a livello nazionale. Il capo sherpa per i dem è ovviamente Francesco Boccia, che sta tessendo la ricucitura e il dialogo con Giuseppe Conte, ma anche con Roberta Lombardi e Valentina Corrado, le due assessori uscenti dei pentastellati. L'accordo è sul nome di Daniele Leodori, vicepresidente uscente, che metterebbe d'accordo quasi tutti. Ma per dare il definitivo semaforo verde all'operazione Conte vuole che sul tavolo siano messi tutti i prossimi appuntamenti elettorali e relativi candidati. "Non possiamo sempre subire gli accordi dentro il centrosinistra e tra le correnti del PD, se ci deve essere un accordo nel Lazio lo stesso deve valere per il M0lise e la Lombardia", ragiona a voce alta un dirigente grillino.
C'è dunque cautela, soprattutto perché una mancata convergenza sulle vicepresidenze di Camera e Senato, potrebbe irritare Conte fino al punto da mandare a monte la già faticosa trattativa. Intanto quel che è certo è che gli elettori del centrosinistra vogliono che non si ripeta il disastro del 25 settembre, come confermato da sondaggio realizzato da Izi, e chiedono alle attuali forze di opposizione di trovare un accordo per andare insieme. E nel Lazio, dove è nata l'idea stessa del campo largo, Movimento 5 Stelle, PD e Terzo Polo già governano insieme e trovare un'intesa dovrebbe essere più semplice che altrove. Ma Calenda fa sapere che nessuno lo ha cercato dal Nazareno, tantomeno per discutere di regionali. Ma il PD regionale lo ha detto più volte: "L'obiettivo rimane confermare l'alleanza uscente". Questo almeno a parole.
Quel che è certo è che sono escluse le primarie per la scelta del candidato: non c'è il tempo, ma soprattutto non ci sono le condizioni politiche con il Partito Democratico che veleggia verso il congresso, scosso dalla paura di essere cannibalizzato o di essere condannato all'irrilevanza. Rimane da capire cosa farà Alessio D'Amato: l'assessore regionale alla Sanità, che ha costruito consenso e notorietà con una gestione dell'emergenza pandemica e della campagna vaccinale considerata tra le migliori in Italia, non è un segreto che ambisse alla corsa da governatore. Ma la condanna per danno erariale ha raffreddato anche i suoi più strenui sostenitori, tra cui bisogna annoverare anche il segretario Enrico Letta. Per lui rimane aperta la corsa con un ticket di peso (i ben informati parlano di un accordo con Monica Cirinnà, tra i non eletti eccellenti) nelle liste del PD, o si parla di un ruolo in Campidoglio. La possibilità che corra da solo con una lista civica e il sostegno del Terzo Polo sembra al momento più materia per i retroscena che altro, anche se Carlo Calenda ha sempre detto che per lui sarebbe stato un ottimo candidato.
Dal canto suo il Movimento 5 Stelle è consapevole che una cosa sono le elezioni politiche, un'altra i test elettorali sui territori: i pentastellati negli ultimi due anni non sono riusciti ad eleggere un consigliere comunale nei capoluoghi di provincia che non siano Roma, rimanendo esclusi a Rieti, Viterbo, Frosinone, Latina e perdendo una storica roccaforte come Guidonia Montecelio.
L'idea è che presentarsi agli elettori rivendicando dei risultati di governo, scommettendo sul tornare alla Pisana ancora una volta in maggioranza, sia la maniera migliore per affrontare le urne e un sistema elettorale che premia le preferenze e dove chi arriva primo vince al primo turno. Certo non mancano gli ostacoli, il più evidente dei quali è la questione del termovalorizzatore di Roma e la permanenza del Movimento 5 Stelle capitanato da Virginia Raggi all'opposizione del sindaco Roberto Gualtieri. Ma la strada dell'alleanza sembra obbligata.