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Indagine sulle mascherine alla Regione Lazio, sequestrati beni per 14 milioni di euro

La società incaricata della fornitura di mascherine sanitarie alla Regione Lazio avrebbe ricevuto un acconto di più di 14 milioni di euro, senza mai consegnare tutto il materiale richiesto.
A cura di Beatrice Tominic
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Immagine di repertorio.
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Gli agenti della Guardia di Finanza hanno sequestrato beni per 14 milioni di euro nei confronti di sette persone fisiche e due società a cui la Regione Lazio aveva affidato la fornitura di mascherine, a triplo strato e mascherine FFP2/FFP3, nella prima fase della pandemia da coronavirus, a marzo 2020.

Secondo quanto emerso dalle indagini, i reati ipotizzati a carico dei nove soggetti sono quello di truffa aggravata (poiché ai danni un ente pubblico), frode nelle pubbliche forniture (aggravata dal fatto di trattarsi di oggetti utilizzati per fronteggiare un comune pericolo), riciclaggio e autoriciclaggio.

Questo il provvedimento eseguito dagli agenti della Guardia di Finanza di Roma su delega dell'Ufficio di Procura di Roma a seguito del decreto emesso dal Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale capitolino.

Le indagini della Guardia di Finanza: cosa è successo

Il provvedimento è stato emesso al termine delle indagini degli agenti del Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria coordinate dalla Procura della Repubblica di Roma. Il caso riguarda la fornitura di 9,5 milioni di mascherine triplo strato e mascherine FFP2/FFP3 affidata dall'Agenzia Regionale della Protezione Civile Lazio ad una società romana durante la prima fase dell'emergenza sanitaria di Covid 19, a marzo 2020.

La società, secondo l'ipotesi d'accusa, dopo aver ottenuto il pagamento di un acconto di più di di 14, 6 milioni di euro, su una fornitura dal valore di 35,8 milioni di euro, avrebbe consegnato soltanto una minima a seguito di numerose sollecitazioni nonostante avesse assicurato la disponibilità immediata dei dispositivi di sicurezza. A quel punto la Regione Lazio, visti i ritardi e la quantità minima, si è vista costretta ad annullare in autotutela i contratti stipulati.

In seguito, sempre secondo l'ipotesi di accusa, "i responsabili della società presentavano certificazioni tecniche non genuine e polizze fidejussorie rilasciate da società non abilitata, in modo da indurre nuovamente in errore l'Agenzia Regionale la quale disponeva la novazione dei contratti".

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