video suggerito
video suggerito

Impedisce alla moglie di lavorare per badare ai bimbi: secondo la Cassazione deve essere condannato

Non permetteva alla moglie di lavorare ed è finito a processo. Per la Cassazione deve essere condannato: “Le scelte non devono essere imposte”.
A cura di Beatrice Tominic
126 CONDIVISIONI
Immagine

Impediva alla moglie di lavorare e la costringeva a gestire la casa, a badare ai bambini, faceva in modo che non disponesse di entrate proprie, come uno stipendio, per poter rendere la compagna economicamente dipendente da lui. Che questa fosse una forma di violenza, lo sappiamo da tempo. Stavolta, però, lo ha detto anche la Cassazione che ha condannato l'uomo per maltrattamenti sulla moglie.

La sentenza è stata stabilita dalla VI sezione penale della Corte di Cassazione, che ha confermato la condanna disposta dai giudici in primo grado e poi da quelli di appello di Torino. Le violenze sono andate avanti per quasi venti anni, dal 2000 all'agosto del 2019: due decenni in cui l'uomo avrebbe reso impossibile la vita della moglie negandole l'indipendenza. Oggi i due sono separati e l'uomo è stato condannato per maltrattamenti.

Le violenze per venti anni: la difesa del marito

Per quasi venti anni la vita della donna ha continuato ad andare avanti con impedimenti e divieti imposti dal marito. L'uomo, nel corso della sua difesa, ha provato a sostenere la sua versione dei fatti, secondo cui la donna avrebbe scelto in autonomia di "non lavorare per dedicarsi ai figli, contando sul mantenimento del marito" e sarebbe stata libera nella "gestione finanziaria ed economica, propria e dei figli", come riporta il Messaggero nella sua edizione locale. Avrebbe sottolineato la mancanza di volontà vessatoria, riducendo i maltrattamenti a litigi.

Le violenze, invece, sarebbero stata di altra natura. "Violente, sessualmente umilianti, minatorie, controllanti e denigratorie" e talvolta sarebbero avvenute anche agli occhi dei figli.

Il marito contro il lavoro della moglie: "Non puoi farlo, devi tornare a casa"

Una versione che, invece, non sembra combaciare con quanto ricostruito dai giudici e quanto esposto dalla donna che avrebbe, invece, ricordato un episodio esemplare. Dopo essere riuscita a trovare un lavoro nel settore turistico, considerando le limitazioni che il marito le aveva imposto, non aveva comunque potuto svolgerlo. L'uomo avrebbe iniziato a seguirla, chiamarla al telefono, a minacciarla di rientrare e tornare alla vecchia gestione delle casa e dei figli, arrivando ad irrompere anche in ufficio, davanti a colleghi e clienti. L'unico lavoro che le era stato permesso svolgere è stato quello di contabile nell'azienda di famiglia per cui, però, la donna non ha mai ricevuto uno stipendio.

Per i giudici, l'uomo aveva "imposto un regime discriminatori nei confronti della moglie" per la sua volontà di lavorare e "acquisire, di conseguenza, una propria indipendenza economica" portando avanti un atteggiamento di "violenza economica", provocando un "vero e proprio stato di prostrazione" e imponendo scelte economiche anche non condivise.

La sentenza della Cassazione

Una volta preso atto della vicenda, nella ricostruzione della Cassazione ogni comportamento dell'uomo, dal divieto di lavorare all'isolamento nelle relazioni con persone esterne alla famiglia fino al ruolo casalingo imposto, è stato finalizzato alla "limitazione dell'autonomia economica" della donna, vittima di un "sistema di potere asimmetrico" all'interno della famiglia in cui subiva anche condotte manipolatorie e pressioni psicologiche.

126 CONDIVISIONI
autopromo immagine
Più che un giornale
Il media che racconta il tempo in cui viviamo con occhi moderni
api url views