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Il tutore di Calissano accusato di avergli sottratto 500mila euro: “Ho sempre agito in buona fede”

Matteo Minna, amministratore di sostegno dell’attore Paolo Calissano deceduto nel 2021, ha dichiarato davanti al giudice di non aver mai preso soldi dai conti dei suoi assistiti. L’avvocato è accusato di peculato, falso e circonvenzione di incapace.
A cura di Enrico Spaccini
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Paolo Calissano (foto da LaPresse)
Paolo Calissano (foto da LaPresse)

Ha respinto ogni accusa Matteo Minna, l'avvocato e amministratore di sostegno dell'attore Paolo Calissano indagato per avergli sottratto 500mila euro. Davanti al giudice per le indagini preliminari Milena Catalano, il legale accusato di peculato, falso e circonvenzione di incapace ha rilasciato dichiarazioni spontanee avvalendosi, però, anche della facoltà di non rispondere. "Non ho mai preso soldi dai conti dei miei assistiti", ha affermato Minna, "tutte le spese e i prelievi erano legittimi e lo dimostrerò producendo la documentazione".

Le accuse nei confronti dell'avvocato Minna

Secondo quanto ricostruito dalla Procura di Genova, l'avvocato si sarebbe appropriato in tutto di 817.326 euro. Gli inquirenti, infatti, avrebbero riscontrato numerose irregolarità nella gestione dei patrimoni da lui amministrati sfruttando le diverse fragilità dei suoi clienti. Tra questi, anche Paolo Calissano, l'attore trovato senza vita il 30 dicembre 2021 deceduto a causa di un'intossicazione da farmaci antidepressivi.

A lui Minna avrebbe sottratto circa 500mila euro e i restanti 300mila ad altri tre assistiti. Le accuse nei suoi confronti sono di peculato, falso e circonvenzione di incapace. Inoltre, per la guardia di finanza l'avvocato avrebbe falsificato e indotto in errore un consulente tecnico di ufficio incaricato di controllare il suo operato.

Le dichiarazioni davanti al gip

Assistito da Enrico Scopesi e Maurizio Mascia, Minna si è presentato davanti al gip Catalano rilasciando alcune dichiarazioni spontanee: "Respingo tutte le accuse, non ho mai preso soldi dai conti dei miei assistiti. Ho agito sempre in buona fede". L'indagato si è poi avvalso della facoltà di non rispondere.

Secondo il giudice, Minna è una persona che "usa in modo strumentale la sua professione per soddisfare l'istinto predatorio" e che "agisce in modo spregiudicato", individuando le sue vittime "fra gli strati più fragili della società".

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