Il sopravvissuto alla strage di Fidene: “Le vittime uccise due volte, prima dal killer poi in aula”
Sono trascorsi due anni esatti da quella fredda domenica di dicembre squarciata dai colpi di pistola di Claudio Campiti. Era l’11 dicembre 2022, nel dehor esterno del bar ‘Il posto giusto' a Fidene è in corso la riunione del consorzio Valle Verde. I partecipanti si sono appena accomodati per l’inizio dei lavori quando all’improvviso irrompe nella sala Claudio Campiti e inizia a sparare. Il bilancio è di 4 vittime, tutte donne: Nicoletta Golisano, Elisabetta Silenzi, Sabina Sperandio e Fabiana De Angelis.
Oggi a due anni esatti i parenti delle vittime, i sopravvissuti e i residenti si sono riuniti nel parcheggio accanto al luogo della strage. Davanti alla targa dedicata alle quattro donne uccise, prende la parola Emilio Brancadoro, uno dei sopravvissuti. "Io ero lì insieme a tanti di voi e da quel giorno incubi e dolori si accavallano durante la giornata e non vanno via. Essere qui aiuta in qualche modo a superare questi momenti". Emilio ha concluso il suo intervento commentando in maniera amara quanto è emerso nell'ambito dell'inchiesta prima e del processo poi. "Le istituzioni, rappresentate dai legali dei due ministeri a processo, hanno preso le distanze e hanno quindi abbandonato le vittime. Non si sentono responsabili quando invece la responsabilità è talmente evidente e questo fa vacillare la mia speranza nel nostro sistema giudiziario".
Il processo
La commemorazione arriva all’indomani della richiesta del pm Giovanni Musarò per Campiti: ergastolo con isolamento diurno per due anni e mezzo. Il processo è infatti arrivato alle battute finali e nei primi mesi del 2025 dovrebbe arrivare la prima sentenza. Alla sbarra ci sono anche presidente della Sezione Tiro a Segno Nazionale di Roma e un dipendente addetto al locale dell'armeria del poligono di tiro di Tor di Quinto, dove Campiti prese l'arma utilizzata poi per compiere la strage. I due sono accusati di omissioni sul controllo e la vigilanza sulle armi e per loro la richiesta di condanna è rispettivamente di 4 anni e un mese e di due anni. Anche stavolta l’imputato era in aula. “Ha preso la parola anche stavolta – racconta Giovanni Caruso, un altro sopravvissuto – non ha parlato però della strage ma ha pensato bene di lamentarsi delle sue condizioni in carcere. Noi siamo usciti dall’aula, non ce la facevamo ad ascoltarlo”.