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Satnam Singh, bracciante indiano morto a Latina

Il padre dell’imprenditore che ha abbandonato Satnam Singh in strada: “Una leggerezza del bracciante”

“Una leggerezza costata cara a tutti”. Il padre di Antonello Lovato, l’imprenditore accusato della morte di Satnam Singh, difende il figlio, tentando di addossare tutta la colpa alla vittima.
A cura di Natascia Grbic
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A sinistra Renzo Lovato, a destra Satnam Singh
A sinistra Renzo Lovato, a destra Satnam Singh
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"L'aveva avvisato il lavoratore di non avvicinarsi al mezzo ma lui ha fatto di testa sua. Una leggerezza che è costata cara a tutti". A parlare, intervistato dal TG1, è Renzo Lovato, padre di Antonello Lovato, l'uomo indagato per omicidio colposo, omissione di soccorso e violazione delle disposizioni in materia di lavoro irregolare in merito alla morte di Satnam Singh, il bracciante indiano di 31 anni morto ieri all'ospedale San Camillo di Roma dopo che un macchinario avvolgiplastica gli ha staccato un arto di netto. Nessuna parola sul fatto che il figlio avrebbe scaricato Satnam davanti la sua abitazione senza chiamare i soccorsi, lasciandolo agonizzante in mezzo alla strada, mentre la moglie urlava disperata chiedendo che per piacere, qualcuno chiamasse un'ambulanza. Nessuno degli altri braccianti di Borgo Santa Maria, forse proprio per paura di perdere il lavoro, ha chiamato il 118. Solo quando Lovato si sarebbe allontanato con il suo furgone bianco, forse confidando nel fatto che nessuno avrebbe parlato, il collega dell'uomo ha chiamato i soccorsi. Tra il momento dell'incidente e quello della chiamata sarebbero passate due ore. Un lasso di tempo che forse è stato decisivo nella morte di Satnam Singh.

Al momento Antonello Lovato è a piede libero, ma non è escluso che nelle prossime ore si decida per l'arresto. Il 38enne, interrogato dai carabinieri, avrebbe sostenuto di aver agito ‘per paura', perché in preda a un forte ‘stato di agitazione'. Eppure la lucidità per caricare in macchina una persona mutilata in quel modo, con l'arto del braccio messo in una cassetta della frutta, quella c'è stata.

Satnam Singh e sua moglie non avevano nessun contratto di lavoro. Una prassi purtroppo consolidata nelle zone dove vige sfruttamento e capolarato, dove lavoratori stranieri, senza documenti e diritti, vengono fatti lavorare anche più di dodici ore al giorno in condizioni estreme, con paghe da fame. E questa era anche la situazione di Singh, deceduto dopo due giorni di agonia in ospedale.Le speranze per lui, erano già appese a un filo: quando è arrivato al San Camillo con l'eliambulanza era già troppo tardi, e il suo corpo – già provato dalle gravissime ferite – non ce l'ha fatta.

“Quello che è successo in provincia di Latina è di una gravità e crudeltà inaudita, nel disprezzo più totale della vita umana – ha dichiarato la Flai Cgil Roma e Lazio, che per prima ha denunciato l'accaduto, con la sua Segretaria generale arrivata immediatamente sul posto per prestare soccorso a Singh -. Questo, però lo ripetiamo, è il frutto di una condizione di sfruttamento che caratterizza troppi pezzi del nostro territorio e del settore agricolo. In questo momento terribile siamo vicini alla moglie di Satnam, ai compagni di lavoro, a chi ha provato a fare di tutto per salvarlo. Siamo vicini, come ogni giorno alla comunità indiani, ai suoi lavoratori impegnati nei campi, a loro diciamo che possono rivolgersi a noi”.

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