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Il carabiniere che ha salvato un 30enne dal suicidio: “Poteva essere mio figlio, dovevo riuscirci”

Fanpage.it ha intervistato il luogotenente dei carabinieri della Sezione Radiomobile di Pontecorvo Giuseppe Di Trinca, che ha salvato un 30enne dal suicidio: “Dovevo riuscirci, poteva essere mio figlio”.
A cura di Alessia Rabbai
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"Dovevo salvarlo, poteva essere mio figlio". Il luogotenente dei carabinieri Giuseppe Di Trinca della Sezione Radiomobile di Pontecorvo ha raccontato i concitati attimi in cui un ragazzo di trent'anni voleva togliersi la vita, lanciandosi dal belvedere di Pontecorvo, in provincia di Frosinone, dove i cittadini lo hanno acclamato come "eroe". L'episodio che sarebbe potuto culminare in tragedia, ma che si è concluso con il lieto fine grazie all'intervento di militari dell'Arma, si è verificato nella serata di sabato scorso 23 settembre. Arrivata la segnalazione in caserma da parte di una persona che voleva suicidarsi nel centro abitato, una pattuglia è intervenuta sul posto, mentre era ancora al telefono con la centrale.

"Ci siamo precipitati in Piazza Belvedere come ci è stato detto, abbiamo trovato il giovane che aveva scavalcato la ringhiera, stava in piedi sulla balaustra, rivolto verso il burrone sottostante ad un'altezza di circa 20 metri e che si sporgeva nel vuoto" spiega il militare. Il carabiniere ha subito cercato d'intraprendere un dialogo con lui, per conquistarsi la sua fiducia. "Ho cercato di entrare in empatia con lui, pian piano si è aperto e ci ha raccontato cosa lo affliggeva, i suoi problemi famigliari e sentimentali. Gli ho detto che capivo il suo stato d'animo, ma che a tutto c'è una soluzione e che se avesse deciso di lanciarsi non avrebbe risolto nulla".

Un ragionamento quello intercorso tra il carabiniere e il ragazzo che è andato avanti per circa tre quarti d'ora, mentre sul posto erano presenti anche il sindaco di Pontecorvo Anselmo Rotondo, i vigili del fuoco e gli agenti della polizia locale e l'area durante le operazioni è stata interdetta, per permettere ai militari di intervenire in sicurezza e tranquillità. "Se mi chiede se c'è stato un momento in cui ho temuto di non riuscirlo a salvare rispondo di sì, in questi casi c'è sempre, ma la mia perseveranza nel convincerlo a non farlo è stata più forte della paura. Mi sono detto che dovevo riuscirci per forza, dovevo farcela perché poteva essere mio figlio". Il carabiniere ha continuato a parlare con il trentenne a lungo, fino a quando non si è convinto e ha deciso di desistere dal suo intento. "L'ho aiutato a passare dall'altra parte della ringhiera. Mi ha abbracciato e ringraziato, non posso descrivere l'emozione che ho provato, è stata troppo forte".

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