I fratelli Bianchi in carcere nel mirino del boss albanese: “Sono nel braccio G9 magari a pizzicalli”
I fratelli Bianchi nel carcere di Rebibbia avevano paura. Paura degli altri detenuti, paura di possibile rappresaglie e spaventati da quell'accoglienza ricevuta a a base di insulti e sputi al loro arrivo. Lo sappiamo dalle intercettazioni in carcere di Marco e Gabriel Bianchi, arrestati per l'omicidio di Willy Monteiro Duarte a Colleferro, che quando parlano ai colloqui esprimono preoccupazione per la loro sorte dietro le sbarre. "Devi stare attento, perché pure se dormi, quelli arrivano e ti zaccagnano", dice Marco a Gabriele. "Poi mi sento chiamà la mattina… ‘ao, a infame! A infame. Mannaggia.. ah infame! Mi hai spaccato il naso… il chiodo dentro al dentifricio… ogni cosa che succede, boooommm", e mentre parla mima il gesto di una coltellata alla gola. Oggi sappiamo che le paure dei due fratelli di Artena non erano poi così infondate.
Le intercettazioni messe agli atti del procedimento nei confronti di Elvis Demce, il boss della mala albanese che voleva fare il grande salto conquistando nuove fette di mercato dello spaccio a Roma da Centocelle all'hinterland. "E vedi ‘mpò chi so’ ‘ste spie di merda che spacciavano a casa nostra", dice Demce, con riferimento alle attività illegali dei Bianchi a Velletri, per le quali sono stati recentemente condannati. E ancora "stanno al G9, magari a pizzicarli quei cessi veri", che "hanno fatto i danni a colori co quel ragazzino che hanno ammazzato". Il capo e i suoi accoliti non escludono di affidare il compito di colpire i Bianchi a tale "Ciccillo", un sodale del gruppo detenuto. L'astio del gruppo nasce dalla pretesa di governare tutto il mercato degli stupefacenti nella zona dei Castelli Romani.