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“Ho mandato via la mafia sparando in piazza”: condannato a 5 anni ‘er Nasca’, il boss di Ostia

Roberto De Santis, detto ‘er Nasca’, è stato portato in carcere per scontare una pena a cinque anni: ha tentato di estorcere denaro a un’imprenditrice, utilizzando il metodo mafioso.
A cura di Natascia Grbic
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Voleva 500mila euro per garantirle ‘protezione', in modo da poter realizzare senza problemi un importante intervento urbanistico a Ostia del valore di cento milioni. Un'estorsione vera e propria con metodo mafioso, fatta da Roberto De Santis a un'imprenditrice romana che, in accordo col comune di Roma, si sarebbe dovuta occupare della realizzazione dell'impianto. L'uomo conosciuto da tutti sul territorio come ‘er Nasca', è stato condannato in via definitiva a cinque anni di carcere per tentata estorsione aggravata dal metodo mafioso. Nei giorni scorsi l'uomo è stato riportato in carcere, dove sconterà la pena residua.

Secondo quanto ricostruito dai Carabinieri del Nucleo Investigativo del Gruppo di Ostia, la donna è stata avvicinata da un imprenditore di sua conoscenza, che le ha presentato come impossibile realizzare un intervento sul territorio senza prima parlare con ‘er Nasca‘, descritto come ‘l'uomo degli equilibri di Ostia' e ‘capo dei capi'. Le è stato ricordato il suo ruolo nella gambizzazione di Vito Triassi, e il fatto che nessuna ditta poteva operare in tranquillità senza il suo benestare. Se non gli avesse dato 500mila euro, insomma, la sua opera sarebbe stata oggetto di danneggiamenti ed estorsioni. Una minaccia in piena regola. All'imprenditrice, De Santis aveva spiegato come lui aveva cacciato la mafia siciliana dal territorio e di come avesse acquisito la sua caratura criminale sparando in piazza.

La sentenza è diventata definitiva il primo ottobre 2024, quando la Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso dei legali di Roberto Santis. Per gli ermellini, le intercettazioni analizzate dai Carabinieri del Nucleo Investigativo del Gruppo di Ostia hanno infatti avuto grande valenza probatoria, tale da non rendere ammissibile il ricorso dei legali alla Suprema Corte. Le parole dell'uomo, infatti, non lasciano dubbi: quella operata ai danni dell'imprenditrice è stata una vera e propria estorsione, aggravata dal fatto che, per spaventarla e farsi pagare, aveva lasciato intendere che aveva un passato fatto di violenza e sopraffazione.

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