Guida ai dieci palazzi più strani di Roma
Di palazzi noti a Roma se ne trovano ovunque: a piazza Venezia, al Campidoglio, a piazza Cavour. Ma solo alcuni hanno forme strane, a volte persino mostruose. Bizzarrie degli architetti oppure volontà di creare qualcosa di nuovo? Ogni edificio di quelli che proponiamo ha una sua particolarità e storia. E, soprattutto, spesso non sono presenti nelle guide turistiche. Motivo in più per conoscerli e visitarli.
1. Palazzo Zuccari
Per provare la sensazione di essere inghiottiti da un palazzo bisogna andare in via Gregoriana 28. A due passi dalla scalinata di Trinità dei Monti c'è un edificio dall'aspetto mostruoso. Sopra alla porta ci sono occhi cavernosi, sotto si trova una scalinata a forma di mandibola e al centro l'ingresso, che porta dritti dentro la bocca della Casa dei Mostri. Così viene comunemente chiamato il palazzo costruito nel 1592 da Federico Zuccari, pittore di nobili origini. Perché ha voluto realizzare quell'entrata così particolare resta un mistero. "Potrebbe essere un gioco bizarro", commenta la dott.ssa Marieke von Bernstorff, responsabile nei servizi editoriali della Bibliotheca Hertziana– Istituto Max Planck per la storia dell'arte, ospitata oggi dentro al palazzo. "Bisogna però notare che la facciata mostruosa corrisponde all'ingresso al cortile, quello principale era infatti in via Sistina". L'unico documento da cui si può risalire alla volontà di Zuccari è allora il testamento. "Qui scrive che il palazzo deve essere pensato per ospitare giovani artisti, sopratutto provenienti dal Nord Europa. C'è da ricordare che Zuccari è uno dei fondatori dell'Accademia di San Luca, la prima accademia d'arte di Roma". E il suo palazzo di artisti ne ha visti passare.
A palazzo Zuccari hanno infatti abitato Johann Joachim Winckelmann, fondatore della moderna storia dell'arte, Louis David, che dipinse in queste stanze Il giuramento degli Orazi, e il generale prussiano Salomon Bartholdy, che finanziò l’esecuzione della prima opera collettiva dei Nazareni a Roma. Ma la tradizione dell'arte non si ferma a loro e prosegue con Henriette Hertz, mecenate di Colonia con la passione per l'arte. "Tra il 1846 e il 1913, la sig.ra Hertz inizia a compiere lunghi viaggi in Italia insieme Ludwig e Frida Mond, soprattutto per evitare i freddi inverni tedeschi. E nel 1904 decide di acquistare palazzo Zuccari". Un luogo che trasforma. "Diventa un circolo di storici, archeologi, dove si ascolta anche musica. È pensato come una casa aperta agli artisti". Fino al momento in cui la Hertz passa a miglior vita. "Lascia foto e libri all'Istituto Max Planck per la storia dell'arte, paragonabile al CNR dell'arte delle Scienze umane e sociali, patrimonio culturale dell'arte. Un'eccellenza. Ce ne sono due in Italia: uno è a Firenze e l'altro a Roma. Mentre la collezione d'arte viene donata dalla Hertz allo Stato italiano. L'opera più importante che dona è l'Annunciazione di Filippo Lippi, ora conservata a palazzo Barberini". Ma Hertz nel testamento scrive anche altro. "Vuole che il palazzo sia un posto per tutti gli studiosi di storia dell'arte di entrambi i sessi", prosegue la dott.ssa von Bernstorff, "questo bisogna ricordarlo, perché un tempo, spesso, le donne non potevano entrare in biblioteca". E di libri nella biblioteca dentro ce ne sono. "Più di 300.000 e oltre 800.000 foto, in alcuni casi testimonianze di un'Italia che non c'è più. Tra i punti forti, poi, ci sono le guide antiche di Roma, le prime scritte per i pellegrini". Si può dire allora, usando le parole di Andrea Sperelli, protagonista del romanzo Il Piacere di Gabriele D’Annunzio, che a Palazzo Zuccari è “raccolta, come un’essenza in un vaso, tutta la sovrana dolcezza di Roma”.
2. Palazzo della Civiltà Italiana
Solo a individuare quanti sono gli archi del Palazzo della Civiltà Italiana all'EUR, si perderebbe presto il conto. Ne ha ben 216, di cui 54 per facciata. Più del Colosseo, che di arcate ne ha 80. La somiglianza tra i due edifici è evidente. E non è un caso. È il 1937, all’Italia viene concesso di ospitare l’Esposizione Universale del 1942. Mussolini sfrutta l’occasione per far realizzare un nuovo centro urbano di carattere permanente a sud di Roma: l’EUR. Quale posto sceglie come più rappresentativo? Il Palazzo della Civiltà, che vuole essere un segno di continuità tra la Roma imperiale e il fascismo. "Con il Palazzo della Civiltà Italiano l'architetto Ernesto Lapadula ha voluto realizzare un Colosseo completamente ‘sfinestrato'", commenta l'architetto Piercarlo Crachi, "siamo nel campo del razionalismo italiano". Inaugurato nel 1940 ancora incompleto, viene ben presto abbandonato. Durante la guerra serve prima come accampamento per le truppe tedesche, poi quelle alleate e infine, nell’immediato dopoguerra, come rifugio di sfollati. Ma ha ancora storia da scrivere.
Rinasce negli anni Novanta. Con la sua architettura razionale e metafisica, diventa sfondo o citazione di molti film: da Roma città aperta di Roberto Rossellini a l'Eclisse di Michelangelo Antonioni, da Otto e mezzo di Federico Fellini a Il ventre dell'architetto di Peter Greenaway fino alla Notte prima degli esami di Fausto Brizzi. Non solo, anche la pubblicità lo considera location ideale. Qui si girano video-clip musicali (Negramaro) e spot televisivi, come quello della Nike (The mission, nel 2000). In cui si vedono campioni del calcio europeo (Davids, Totti, Thuram, Guardiola ecc.) che entrano dentro il palazzo per recuperare il nuovo pallone della multinazionale statunitense. Ma all'interno trovano migliaia di calciatori robot.
Chi ora si trova invece all'interno dell'edificio è il gruppo di alta moda Fendi. Da luglio 2013, e fino a tutto il 2028, sarà concesso in affitto al finanziere francese Bernard Arnault per la somma di 240mila euro al mese. Rimane però vincolato a usi espositivi e museali: il MIBAC l'ha infatti dichiarato edificio di interesse culturale. E non è l'unico della zona. "Il Museo delle Civiltà è di pari valore", spiega l'architetto Piercarlo Crachi, "anche perché nasconde un colpo di scena. Perché, senza che il visitatore se ne accorga, mentre visita le sale scende di un piano. D'altra parte l'edificio è stato ideato dallo ‘scenografo' del regime: l'architetto Pietro Aschieri". Che si ispirava a quanto era già stato realizzato in Campidoglio. "Quando si entra a Palazzo dei Conservatori si passa per una galleria sotterranea e si esce a Palazzo Nuovo. Anche in quel caso si cammina senza accorgersi di essere passati da una parte all'altra".
3. Palazzo curvo
Vivere in un palazzo curvo deve essere complicato. Disporre i mobili, appendere i quadri e sistemare i divani può risultare un'operazione difficile per gli inquilini dell'edificio in via di Grottapinta, a due passi da Campo de' Fiori. Per scoprire il motivo della forma, però, bisogna andare indietro di oltre 2000 anni. È il 61 a.C. quando il console Pompeo decide di costruire in questa zona un teatro. Ma non il solito, bensì il primo in muratura. La legge lo vieta: solo teatri provvisori e in prossimità di luoghi di culto, stabilisce il Senato, ma la ragione della norma in realtà è un'altra. Gli spettacoli teatrali sono osceni e pieni di satira contro i politici. E il pubblico romano è abituato a gridare, battere di piedi e a fischiare. Oltretutto spesso si scatenano sommosse, che i senatori temono quasi quanto una guerra.
Non Pompeo, che vuole quel teatro e inventa un modo per aggirare il divieto. Fa costruire una gradinata a esedra (semicircolare) che porta a un tempio dedicato a Venere. Il luogo diventa così sacro e anche quelle scale, che sono a tutti gli effetti poltrone per il teatro. Su quei gradini la gente si siede e guarda gli spettacoli, voltando le spalle al tempio. E ancora oggi, della cavea, sono ancora visibili i resti. "Alcuni si trovano nella nostra Spa", rispondono a Fanpage.it dall'hotel Lunetta, "si vede l'opus reticulatum, la tipica tecnica edilizia muraria dei romani". Ma il palazzo curvo non è l'unico elemento d'interesse della via.
C'è un passaggio che collega via Grottapinta a piazza del Biscione: è un passetto affrescato con una volta celeste, che nell’epoca romana collegava la cavea del Teatro di Pompeo con l’esterno. È da qui che la via prende il nome. "Grottapinta" sta per "Grotta Dipinta". Grotta perché anticamente si denominava cosi qualsiasi anfratto scuro, dipinta perché l'arco era affrescato con la cosiddetta "Vergine di Grottapinta" del XII secolo, trasferita nella chiesa di S.Lorenzo in Damaso nel XV secolo ed oggi sostituita da un quadro.
4. Palazzo Mattei di Giove
Ci si sente osservati quando si entra nell'edificio in via Michelangelo Caetani, a due passi dalla fontana delle Tartarughe. Occhi delle statue e dei busti presenti in ogni parete del cortile sono puntati dritti verso il visitatore. Sembra di essere in una gipsoteca e invece si è nel Palazzo Mattei di Giove. È il 1598 quando il nobile Asdrubale Mattei, duca di Giove (comune in provincia di Terni) decide di far costruire il palazzo in occasione delle sue seconde nozze con Costanza Gonzaga. L'ultimo della cosiddetta "isola dei Mattei", un complesso di edifici con i quali la famiglia romana afferma il proprio potere in Italia. Ma nel 1822 la famiglia Mattei esce di scena. L'ultima erede, Marianna, vende il palazzo a Carlo Antici, zio materno di Giacomo Leopardi. Il poeta di Recanati si trasferisce qui e ci vive per un anno, fino al 1823. Non un periodo felice per lui. Si disamora della città che non ritiene a misura d'uomo. Chi ha invece apprezzato il soggiorno in queste stanze è stato Michelangelo Merisi, meglio noto come Caravaggio. Viene ospitato a Palazzo Mattei per due anni e qui completa le tele per la Cappella Cerasi e dipinge la Morte della Vergine per Santa Maria della Scala. Il palazzo, però, è anche noto per vicende più cupe. "Coinvolto dal punto di vista affettivo e psicologico, Cossiga appoggiò la tesa al muro dell'adiacente palazzo Mattei ed esplose in un pianto sommesso e prolungato". La testimonianza riportata è quella che si legge nel libro del giornalista Giovanni Fasanella Ad alto rischio e l'occasione è drammatica: il ritrovamento del corpo esanime di Aldo Moro in via Caetani, il 9 maggio 1978.
5. Palazzo del Ragno
Si finisce per essere catturati dalla bellezza dell'architettura nel quartiere Coppedè di Roma, come una preda che finisce nella tela di un ragno. E se si osserva bene il palazzo in piazza Mincio 4, tra via Tanaro e via Brenta, se ne troverà una. È sopra la porta dell'edificio, ha il colore dell'oro e un ragno al centro. Animale che simboleggia l'operosità. Si dedica infatti tutti i giorni alla sua tela: ogni volta che un filo si indebolisce, lo mangia e ne produce uno nuovo. Un lavoro che gli porta via numerose energie. Le stesse che ha impiegato l'architetto Gino Coppedè nel 1920 per realizzare questo edificio di quattro piani. Il lavoro è quindi il tema del palazzo e LABOR è la scritta che si legge al terzo livello. È sopra il dipinto color ocra e nero che raffigura un cavaliere tra due grifoni. Gran lavoratore era anche Guido Gonella, giornalista e politico italiano, segretario della Democrazia Cristiana e ministro della Repubblica italiana, che abitò qui.
6. Villa Brasini
Somiglia a un castello medievale l'edificio in via Flaminia 489, non lontano da Ponte Milvio. Contrafforti, spigoli e guglie si mischiano per formare un palazzo decisamente eclettico. Di chi è opera? Dell'architetto Armando Brasini, che ha voluto con questo palazzo esprimere la sua visione del mondo. Lo progetta nel 1925, in pieno periodo fascista, andando contro le linee dure del razionalismo. Preferisce seguire i suoi studi esoterici, le teorie ermetiche e la geomanzia. E così crea quest'opera. Ma l'estrema altezza (sei piani), la torre poligonale e le imponenti colonne decorate spaventano gli abitanti del posto. Incominciano a nascere leggende e tuttora si parla di torture e detenzioni da parte della Gestapo durante l'occupazione tedesca. Ma c'è anche ci dice di aver sentito presenze sovrannaturali.
7. Albergo Rosso
Un colore come quello dell'Albergo Rosso a Garbatella è difficile da trovare a Roma. "Quando siamo andati a restaurarlo", racconta l'architetto Alessandro Nocera dell'Ater, "non è stato facile ricrearlo". E di sicuro non si scorda. "L'ha usato per distinguere l'edificio in un'area in cui ne sono stati costruiti altri tre: l'Albergo Bianco (che s’affaccia su Piazza Biffi), il Terzo Albergo e l'Albergo Giallo". Tutti ideati dall'architetto Innocenzo Sabbatini in un periodo di emergenza abitativa nella capitale. "È il 1927 e c'è penuria di case a Roma", prosegue Nocera, "le persone sgomberate dal centro storico si devono spostare in questi nuovi edifici. Tra questi c'è l'Albergo Rosso: il capolavoro di Sabbatini. Per realizzarlo si ispira alle fabbriche palladiane". Una struttura pensata per il pubblico e per i privati. "Dentro era progettata per ospitare asili, mense, chiese, ma anche gli alloggi per chi ci doveva vivere". E per la costruzione si usa il cemento armato, una novità per l'epoca. "Era una delle prime volte che si adoperava per un palazzo intero". Una soluzione che lascia aperte diverse ipotesi. "È un aspetto misterioso, perché a quel tempo c'era solo una persona che poteva usare in quel modo il cemento armato: l'architetto Pierluigi Nervi (famoso per il PalaEur e l'Aula Nervi in Vaticano). Lui era abituato a costruire un calco dell'edificio in miniatura per vedere se poteva poi sopportare il peso". E questo modus operandi potrebbe lasciar pensare che dietro la progettazione dell'Albergo Rosso ci fosse proprio lui.
8. Palazzo delle Poste di via Marmorata
Ellissi, diagonali incrociate ed elementi a ferro di cavallo. Il Palazzo delle Poste in via Marmorata è un intreccio di geometrie. Solo a guardare le linee dei terminali del palazzo che si intersecano, si rimane ipnotizzati. Lo progettano gli architetti Adalberto Libera e Mario De Renzi tra il 1933 e il 1935. Scelgono una zona centrale di Roma, a ridosso dell’Aventino e delle Mura Aureliane, poco distante dalla Piramide di Caio Cestio. Per lo stile seguono quello razionalista. "Ma qui ogni elemento geometrico ha una funzione ben precisa", nota Alessandro Notar, architetto dell'Ater. Se al piano terra trovano posto i servizi postali, ai piani superiori si trovano gli uffici. Ma è nel salone per il pubblico il gioiello dell'edificio: una parete ellittica con mattonelle di vetrocemento brilla a ogni colpo di luce, come un grosso diamante.
9. Palazzo Girasole
Se si percorre via Bruno Buozzi, non si può far a meno di notare al numero 64 un edificio diverso dagli altri. Siamo a nord di villa Borghese, quartiere Parioli, e il palazzo di cui stiamo parlando è quello del Girasole. Per conoscere l'origine del nome bisogna però andare a scoprire la storia di chi l'ha costruito: Luigi Moretti. A 25 anni l'architetto romano è già affermato nel suo campo, partecipa infatti alla realizzazione del Foro Italico. Ma le sue idee non sono condivise da tutti. Qualche anno più tardi, nel 1945, viene arrestato e rinchiuso nel carcere di San Vittore. L'accusa? Voler mettere in piedi un movimento politico a carattere tecnico. Viene rilasciato dopo un mese. Ma in carcere fa un incontro che gli cambia la vita. Conosce il conte Adolfo Fossataro, amministratore delegato della Higher Life Standard National Company. Fossataro lo contatta perché vuole costruire una casa a Roma. Sa che il suo stile può essere adatto alle star del cinema che abiteranno il palazzo.
Fossataro è infatti anche produttore cinematografico. E in via Bruno Buozzi si trasferiranno celebrità come Roberto Rossellini, di Ingrid Bergman e di Antonio de Curtis, in arte Totò. Per loro Moretti progetta delle case lussuose. Ma deve trovare una soluzione per le camere da letto, che sono posizionate sulla parte laterale dell'edificio e raccolgono poca luce. Allora rende il profilo di quel lato seghettato. E così da quasi tutte le direzioni gli appartamenti riescono a catturare i raggi del sole: come appunto un girasole.
Ma questa non è l'unica particolarità del palazzo. Nella facciata che dà su viale Bruno Buozzi si può notare un taglio profondo, simile a una crepa nella roccia. È una fenditura che permette di illuminare il vano scala, completamente aperto, come una meridiana. Sul lato dell'edificio in via Schiaparelli si trova poi un'altra capriccio architettonico del Moretti. Dall’imbotte di una finestra del piano rialzato affiora una gamba epica. Cos'è? Simboleggia la frattura che Moretti stesso si procurò alla tibia nel 1943 in un incidente stradale sulla via Flaminia, all’altezza di Prima Porta, a due passi dalla Capitale.
Non fu certo quell'infortunio a fermarlo. Moretti diventò la prima vera archistar italiana, arrivando a progettare il “Watergate” di Washington, l’hotel che sarebbe divenuto poi noto anche per l’omonimo scandalo che avrebbe portato le dimissioni del Presidente Nixon. Ma l'opera a cui fu più legato di sicuro era quella del Girasole. Un posto a cui teneva molto anche Totò, ma che fu costretto ad abbandonare. Con la legge Vanoni il fisco inizia infatti a controllare meglio gli evasori. E al principe vengono chiesti quattrocento milioni per redditi non dichiarati. L'attore ha bisogno di liquidi e deve vendere a malincuore l'appartamento. “La base della mia vita è la casa – confidò nel 1963 a Oriana Fallaci – per me, è una fortezza, quasi una persona. Quando vi entro la saluto sempre come una persona: «Buonasera, casa»”.
10. Corviale
Ci sono edifici che somigliano ad animali. Corviale è uno di quelli. Lungo 1km e formato da 9 piani, il palazzo nella periferia sud-ovest della capitale è soprannominato "il serpentone" per l'evidente somiglianza con il rettile. E anche perché non tutti l'hanno apprezzato. "L'architetto Mario Fiorentino fu molto criticato", commenta Alessandro Nocera dell'Ater, "il suo desiderio era di fare una cosa bella, ma, come spesso capita, in questo caso si è andati oltre". Le teorie a cui si ispira Fiorentino sono quelle di Le Corbusier. "Applicazioni delle idee dell'architetto francese si erano già avute in Russia. Ma quando i progettisti italiani si sono messi d'accordo, quegli esperimenti erano già falliti. Per questo sono piovute molte critiche". Ma non è l'unico motivo per cui si sono scatenate negli anni polemiche. "Già nel 1930 Le Corbusier in persona aveva mandato una lettera di avvertimento all'allora sindaco di Roma. Lo invitava a far attenzione a ingrandirsi troppo nell'agro pontino, perché così si rischiava di rovinare la natura'". E anche la gente ha fatto fatica ad abituarsi a quella nuova tipologia di case. "È un modello che era riuscito con l'Unité d'Habitation a Marsiglia", spiega Nocera, "ma difficile da replicare qui". Tanti gli interventi nel tempo e ora è in corso un progetto di riqualificazione urbana per dar nuova vita al "serpentone".