Gli studenti di Colleferro si raccontano dopo l’omicidio di Willy: “Parlate con noi non di noi”
“Ieri abbiamo parlato di quello che è successo con la prof di Storia e Filosofia che ha chiesto a tutti un pensiero sulla morte di Willy” racconta Asia, classe 2002, studentessa al liceo Guglielmo Marconi di Colleferro. "Abbiamo parlato di stare in giro fino a tardi la sera, ma secondo me non è quello il punto e non è stato l’orario il problema. Non si può dire che viviamo in una città pericolosa. Come è successo a lui poteva succedere a qualsiasi altro di noi”.
Per Asia, le sue compagne e i suoi compagni, il secondo giorno di scuola è stato quello delle considerazioni su quanto accaduto la notte del 5 settembre nella città in cui studiano, vivono ed escono tutti giorni. Le disposizioni anti-covid, i turni per fare lezione, i problemi con l’autobus per tornare a casa: come in tutta Italia gli studenti e le studentesse di Colleferro sono alle prese con questo strano rientro in classe post-lockdown.
Ma tra questi giovanissimi c’è il pensiero costante per un ragazzo poco più grande di loro che è stato brutalmente ucciso dietro una fermata del Cotral, di fronte i pub della cittadina. Piazza Italia, le scalette dei locali e i giardinetti dietro la caserma dei Carabinieri. Strade e luoghi di Colleferro che fanno parte della loro quotidianità. Dalla settimana scorsa è il luogo dove piangono Willy, ma anche il posto dove alcuni di loro, insieme agli amici, alle sorelle e a fratelli più grandi, vanno a testimoniare per contribuire a fare giustizia.
Razzismo, movida selvaggia e allenamenti di MMA: alcune lenti usate per leggere questo massacro sembrano non interessare a chi studia e vive a Colleferro. Ascoltare le loro voci all’uscita delle scuole, mentre attendono l’autobus o quando escono il pomeriggio aiuta a rimettere al centro il gesto di Willy Monteiro, quello di fermare una lite, interporsi per bloccare una violenza. “Sì, oggi con alcuni professori abbiamo fatto una riflessione, in realtà pure tra amici ne abbiamo parlato spesso. Io non so bene che dire in realtà, là ci vado spesso, pure quella sera stavo lì, me ne son andato un po’ prima, è assurdo”, spiega Francesco fuori l’Istituto Tecnico Stanislao Cannizzaro, a pochi passi dal Marconi. "Al posto suo potevo esserci io", aggiunge velocemente un amico di Francesco poco prima di salire sull’autobus che lo riporterà ad Artena, lo stesso paese dei quattro giovani arrestati per omicidio.
Gli studenti si identificano in Willy, si immedesimano in quella situazione e iniziano a interrogarsi su quella violenza che ha portato via il ragazzo di Paliano. Poco prima della riapertura delle scuole una ventina di associazione del territorio hanno inviato una lettera aperta ai dirigenti scolastici e agli insegnanti delle scuole di ogni ordine e grado della zona per chiedere di “creare nei primi giorni di scuola, un momento di ascolto di studentesse e studenti sulla notte tra il 5 e il 6 settembre a Colleferro”, si legge nella lettera.
Un appello che è stato accolto. Mentre gli autobus davanti al Cannizzaro partono verso i paesi dei Monti Lepini e la Ciociaria, sui marciapiedi che costeggiano via Consolare Latina gli studenti di Colleferro spiegano com’è stato il confronto in classe su questa tragedia. “In classe abbiamo parlato pure del fatto che i giornali hanno parlato di Colleferro come se fosse pericolosa o solo tipo per il degrado. È strano perché sembra che viviamo nel posto peggiore del mondo”.
Mentre cammina Chiara precisa che alcuni tipi di racconto sulla sua città le hanno dato fastidio. È sconvolta per la morte di Willy, anche lei quella sera era lì, se n’è andata via verso l’una. “Ieri pomeriggio su Zoom abbiamo incontrato lo scrittore Paolo di Paolo. Ci ha chiesto un po’ la nostra opinione, ci ha fatto delle domande su quello che è successo”, racconta un ragazzo che cammina verso piazza Italia, facendo riferimento al colloquio a distanza, pubblicato oggi su Repubblica, che lo scrittore romano ha avuto con un gruppo di studenti del Liceo Marconi. “Siamo preoccupati però non uscire e stare a casa non è che risolve”, aggiunge un altro ragazzo.
“Abbiamo anche detto che non è stato giusto parlare in televisione di Colleferro solo in negativo e solo male dei giovani. Poi Don Luciano ha tirato fuori quella cosa delle baby squillo a dieci euro, ma perché?", La domanda di questa ragazza del Cannizzaro fa riferimento a un’intervista rilasciata dal parroco di Colleferro, Monsignore Don Luciano Lepore, che durante un collegamento televisivo di qualche giorno fa ha dichiarato che la zona dove è stato ucciso Willy Monteiro Duarte è un posto di degrado dove c’è prostituzione minorile.
Al parroco, con una lettera su Facebook, ha risposto anche Benedetta, studentessa di diciassette anni che ha voluto approfondire e mettere in discussione le parole del parroco. “Diretto e senza veli – si legge nella lettera indirizzata a Don Luciano – descrive la presunta realtà dei giovani colleferrini, lasciandomi decisamente perplessa. Come mai lei, Monsignore, essendo consapevole di questa situazione di degrado non ha cercato un dialogo con i giovani, invece di rimanere in silenzio e denunciare solo adesso? Io, Benedetta, adolescente colleferrina che frequenta la movida anche dopo la mezzanotte, sono pienamente disponibile per un confronto con lei, Monsignore, per mostrarle il contesto in cui viviamo tramite i miei occhi. Perché? Semplicemente ritengo estremamente più importante parlare con noi, piuttosto che di noi”.
Benedetta, non si è limitata a inviare una lettera, ha chiesto di incontrare il Parroco per capire quanto fossero reali i fenomeni descritti in televisione e per consegnargli le voci dei suoi coetanei raccolte attraverso i social. “Ho deciso di chiedere attraverso i canali social il punto di vista riguardo questa situazione”, ha spiegato. Il risultato è stato un foglio pieno di racconti e pensieri di adolescenti e ventenni che vivono anche di notte la zona di Piazza Italia a Colleferro. “È normale che il fine settimana ci sia la movida, ma non concordo quando Lei afferma che dopo la mezzanotte vada via la gente per bene. Io personalmente arrivo nella zona più frequentata sempre dopo l’una di notte, non perché io sia uno spacciatore o un consumatore, solo perché prima sia io che i miei amici lavoriamo”, c’è scritto in una delle testimonianze raccolte da Benedetta.
È questa la risposta dei ragazzi di questa periferia al racconto incentrato sul degrado e alle rappresentazioni semplicistiche del contesto in cui vivono. Le loro voci sono una lezione su come evitare banalità e facili letture dopo tragedie e fatti di cronaca nera che scuotono tutto il Paese.