Gabbie popolari, le storie di “prigionieri in casa” nelle periferie di Roma
Di Ylenia Sina e Angela Nittoli
Dai 14 ai 25 anni Simone non ha mai respirato all’aria aperta. Natalina, invece, che di anni ne ha 90, si è rassegnata a una quarantena permanente. Anna cammina solo se sorretta da una stampella e sa che la sua quotidianità potrebbe essere stravolta da un momento all’altro. Sono le storie dei tanti “prigionieri in casa” che arrivano dai quartieri popolari di Roma Capitale, dove migliaia di appartamenti non sono dotati di ascensore e dove altre migliaia lo diventano ogni qualvolta un guasto rimane senza riparazioni per giorni, settimane, a volte mesi. Anche se negli ultimi anni le istituzioni locali hanno aumentato gli sforzi per effettuare interventi di manutenzione straordinaria, soprattutto grazie ad agevolazioni come quella del Superbonus, il numero di palazzine popolari che presentano barriere architettoniche resta consistente e questi “ostacoli fisici” continuano a influenzare la vita quotidiana di migliaia di persone, non solo con disabilità, ma anche con problemi motori di natura temporanea, anziani, famiglie con bambini piccoli.
Un dato su tutti rende l’idea: secondo l’Ater di Roma, l’ente regionale che gestisce buona parte degli alloggi popolari della capitale, circa la metà degli appartamenti di sua proprietà è senza ascensore: 23.121 su un totale di circa 46mila (dato di aprile 2022). A questi si aggiungono quelli di Roma Capitale, proprietaria di circa 28 mila unità, che però non ha fornito i dati. La cifra è rilevante se si pensa che le famiglie residenti nelle case popolari di Roma che hanno dichiarato di avere almeno una persona con disabilità nel proprio nucleo sono circa il 12 per cento (dato ricavato da informazioni fornite da Ater e Roma Capitale), mentre l’incidenza di persone con disabilità all’interno della popolazione italiana è del 5,2 per cento (Istat 2019).
Tra gli inquilini degli appartamenti senza ascensore di proprietà di Ater c’è Natalina Belardi, 90 anni. Si è trasferita in quella casa al quinto piano, nel quartiere Lamaro, nel 1963. “Quattro anni fa sono stata operata all’ernia del disco e da allora non riesco più a fare le scale”, racconta. “Esco solo se ho delle visite mediche che non possono essere effettuate a domicilio. Dall’ultima volta che ho varcato la porta di casa è passato un anno: mi hanno sorretto e ci ho messo più di mezz’ora”. Prima Natalina usciva spesso: “Andavo a ballare o al bar per bere un orzo. Avevo molti amici, ma ora non incontro più nessuno perché sono anziani e non riescono a salire tutte queste scale”. Teme che un giorno non riuscirà più a vedere nemmeno sua sorella che abita nel palazzo di fronte, anche quello senza ascensore. “Tutti i 190 appartamenti di questo lotto sono così. Gli stabili sono degli anni ‘50 e la manutenzione è stata fatta solo una volta, trent’anni fa”, spiega il sindacalista di Unione Inquilini Marco Carroccia, nel corso di una protesta per chiedere ad Ater la manutenzione.
Lamaro non è l’unico quartiere con questi problemi. Nell’aprile del 2022 altri cinque comitati di quartiere si sono mobilitati per lo stesso motivo. Tra le problematiche censite ci sono fognature non funzionanti, muffa, cornicioni da rifare, ascensori mancanti o resi inutilizzabili da infiltrazioni di acqua. “I soldi del Piano nazionale di ripresa e resilienza e quelli del Superbonus devono essere utilizzati per restituire condizioni di vita dignitose a queste famiglie”, spiega Diego Zerbini, del comitato di quartiere Quarticciolo, tra quelli che si sono mobilitati. La preoccupazione dei manifestanti, molti dei quali anziani, è che i 300 milioni di euro del piano quadriennale di manutenzione straordinaria che la Regione Lazio ha messo in campo all’inizio del 2021 non bastino per tutti i quartieri. La stima, infatti, è di coinvolgere 12 mila alloggi (dopo la manifestazione è emerso che sia Lamaro sia Quarticciolo rientreranno nelle manutenzioni). Il Piano riguarda l’efficientamento energetico e la riduzione del rischio sismico, ma non l’installazione di nuovi ascensori. In ogni caso, la cifra stanziata è consistente, se si considera che nei cinque anni precedenti Ater ha speso per la manutenzione ordinaria e straordinaria 20 milioni di euro. Sempre nel corso del 2021 la Regione Lazio ha stanziato altri 15 milioni per realizzare o manutenere gli ascensori di 198 palazzine. Per esempio al Lamaro ne verranno installati due, attesi da molti anni. L’ammontare del problema, però, è scritto nero su bianco in una delibera del settembre 2021 nella quale Ater ammette di non riuscire a “soddisfare le diverse centinaia di nuove richieste che costantemente pervengono”.
La situazione non migliora nelle case di Roma Capitale, anche se con il bilancio del 2022 il Comune ha stanziato 6 milioni di euro per abbattere le barriere architettoniche negli alloggi e nelle scuole di sua proprietà. È tra questi appartamenti, nel quartiere di Casal Bruciato, zona Est di Roma, che ha vissuto per anni Simone, un ragazzo con disabilità motorie e cognitive causate da un’emorragia cerebrale alla nascita. L’ascensore del suo palazzo era troppo piccola per le dimensioni della sua carrozzina. “La prima domanda di cambio alloggio l’ho avanzata nei primi anni duemila, l’assegnazione di una nuova casa al piano terra è avvenuta nel gennaio del 2020”, ricostruisce Sara Bonanno, la madre di Simone. Vedova e senza lavoro a causa della necessità di accudire il figlio, non aveva i soldi per affittare un appartamento sul mercato privato. “Così abbiamo dovuto aspettare. Mio figlio non ha sentito il sole sulla sua pelle e non ha respirato l’aria aperta per undici anni. Una violenza fortissima”. Oggi Simone vive al pian terreno e passa le giornate di sole in giardino, tra gli odori delle piante e il canto degli uccelli.
Non solo ascensori mancanti o inadeguati, anche i guasti pesano. Quando è accaduto nel complesso di case popolari di via Battista Panzera a Tor Bella Monaca quasi tutti i residenti sono rimasti prigionieri in casa. “Questi appartamenti sono abitati da persone con disabilità perché erano stati costruiti senza barriere architettoniche. Negli anni, però, l’assenza di manutenzione ha generato molte difficoltà”, denuncia Maria Vittoria Molinari, sindacalista di Asia Usb. Tra i primi inquilini a trasferirsi nell’immobile, nel 1982, c’è Anna Di Carlo che cammina con l’aiuto di una stampella a causa della poliomielite che l’ha colpita da bambina. Per lei il guasto di oltre un mese all’ascensore, avvenuto tra settembre e ottobre 2020, è stato un incubo: “Senza un aiuto esterno era diventato difficile reperire anche le medicine o il pane. Potevo uscire di casa solo sorretta da qualcuno. Per la fatica di aggrapparmi al corrimano mi era venuta un’infiammazione al polso”. Per Anna, in realtà, tutto il quartiere è un ostacolo: “Dai marciapiedi dissestati all’assenza di un centro di fisioterapia che mi costringe ogni volta ad attendere il trasporto comunale, mentre se il centro fosse nel quartiere ci potrei andare da sola”. Perfino la rampa costruita apposta per le persone con disabilità quando piove diventa uno scivolo.
Un esempio di come sia “l’ambiente a rendere disabili le persone e non il loro stato psicofisico”, commenta Giuseppe Trieste, presidente di Fiaba Onlus le cui battaglie hanno portato il governo a istituire, nel 2003, la Giornata nazionale per l’abbattimento delle barriere architettoniche. Per Trieste “non va dimenticato che il problema non coinvolge solo le persone con disabilità, ma tutta la popolazione perché a tutti può capitare di farsi male a una gamba o di dover portare un passeggino”.
L’eliminazione delle barriere architettoniche è stata affrontata da molte leggi italiane: quella relativa agli edifici pubblici risale al 1979; quella per i privati è di dieci anni dopo, mentre dal 1992 i comuni sono obbligati ad adottare Piani per l’eliminazione delle barriere architettoniche (Peba) negli spazi urbani: percorsi accessibili, semafori acustici, rimozione della segnaletica ingombrante, rampe. “Il quadro normativo italiano è molto avanzato, il problema è la sua applicazione perché spesso mancano le competenze all’interno delle amministrazioni e perché questi processi richiedono molto tempo per essere attuati”, spiega Andrea Ferretti, architetto e presidente dell’associazione Peba. Ferretti stima che “solo il 5 per cento dei comuni italiani ne abbia approvato uno (dato della primavera 2022, ndr)”. Roma ha avviato l’iter nel febbraio del 2020. Nel territorio della Regione Lazio, secondo dati forniti dagli uffici dell'area Infrastrutture viarie e sociali, nel marzo del 2022 meno di dieci comuni su 378 l’avevano approvato. Circa il 2,5 per cento del totale. Qualcosa, però, si muove. Per incentivare le amministrazioni, nel marzo 2021, la Regione Lazio ha stanziato 300 mila euro per supportare la progettazione. Le richieste di finanziamento sono state 163.
“Le barriere non sono solo architettoniche”, precisa Iginio Rossi coordinatore del progetto ‘Città accessibili a tutti’, e membro dell’Istituto nazionale di urbanistica. “Esistono anche quelle intellettive e cognitive, quelle culturali e sociali, legate per esempio alla lingua o alla religione, quelle economiche”, aggiunge. Per Rossi la questione riguarda tutti: “L’accessibilità è sinonimo di vitalità urbana perché garantisce a ogni persona un ruolo nello spazio pubblico”. Anche Alessandro Bruni, presidente dell’Inu dell’Umbria e parte del progetto, “l’accessibilità non è legata alla disabilità, ma riguarda politiche integrate che migliorando il funzionamento urbano rendono la città più inclusiva”. La strada è lunga. Secondo l'Istat (dati 2019), solo il 31,5 per cento delle scuole ha abbattuto le barriere fisiche e solo il 17,5 per cento è priva di quelle percettive e sensoriali. Altro esempio: tra le persone con disabilità solo il 43,5 per cento dispone di una vasta rete di relazioni e solo il 9,3 per cento va spesso al cinema, a teatro o in un museo contro, rispettivamente, il 74,4 e il 30,8 per cento nel resto della popolazione. Tra le cause, scrive Istat, c'è l'accessibilità: solo il 37,5% dei musei italiani è attrezzato e appena il 20,4% di essi offre supporti informativi adatti.
Anche Cosima Venere, 82 anni, ha rinunciato a uscire di casa. Abita al Quarticciolo, un quartiere popolare realizzato negli anni trenta, dove molte palazzine sono ancora senza ascensore. Cosima è ipovedente e da quando è scivolata per le scale ha rinunciato a uscire senza accompagnamento. A farle paura non sono solo le scale. “I marciapiedi sono dissestati e verso sera l’illuminazione è scarsa. Eppure”, ammette, “quando fa caldo, d’estate, mi piacerebbe scendere in giardino e sedermi sulle panchine per prendere un po’ d’aria”.