Fontana di Trevi, perché numero chiuso e prenotazione obbligatoria sono giusti (ma non a pagamento)
L'assessore capitolino al Turismo, Alessandro Onorato, e il sindaco Gualtieri hanno proposto di introdurre un sistema di prenotazioni a pagamento (con un biglietto simbolico a 2 euro) per Fontana di Trevi. "La mia posizione è ancora più estrema: renderei inaccessibile ai visitatori l’interno della Fontana di Trevi in modo che l'opera possa essere ammirata solo da lontano. Un po’ come dire: se vado a teatro non salgo sul palco, guardo lo spettacolo dalla platea", ha spiegato a Fanpage.it la professoressa Barbara Staniscia, che all'Università La Sapienza di Roma insegna Geografia del Turismo e Geografia dell'Alimentazione e della Gastronomia.
"Non credo che la mia proposta troverebbe largo consenso, ma la mia posizione su questo tema è più estrema di quella dell’assessore. Un'opera artistico-architettonica non è realizzata per ospitare un pubblico, ma può essere ammirata a una certa distanza e con una certa prospettiva", ha spiegato la professoressa.
Quindi il meccanismo del biglietto è giusto?
Dal mio punto di vista l’accesso tramite prenotazioni è giusto e ottimo. Ma non a pagamento con un biglietto. Questa non la trovo una soluzione né efficiente né efficace. Un turista che arriva a Roma per la prima volta sicuramente andrà a visitare Fontana di Trevi e non sarà certo il pagamento simbolico di 2 euro a scoraggiarlo. E non è neanche un modo per arricchire le casse del Comune, non credo che 2 euro servano a molto visti i costi di gestione che un ingresso a pagamento comporta. Anzi, semmai, è un modo per attirare ancora più attenzione su quel monumento. Perché se i media di tutto il mondo parlano dei 2 euro per una visita a Fontana di Trevi, l’importanza di quel monumento agli occhi del mondo cresce e più visitatori arriveranno.
Ma perché bisogna limitare l’accesso dei turisti a Fontana di Trevi?
Per una questione di tutela del bene culturale, di certo, ma, a mio avviso, anche con un intento pedagogico. Per far sì che ci sia una diversa qualità dell’esperienza. Come a dire: abbiate consapevolezza di quello che state fotografando per il vostro selfie. Non dico di non farlo, ma sappiate quello che state fotografando. Far prenotare l’ingresso alla piazza per 30 minuti, anche a una distanza maggiore di quella che c’è ora dalla fontana, ovviamente comporterebbe l’introduzione di un numero chiuso. So che questa soluzione può apparire provocatoria, ma dal mio punto di vista di ricercatrice non lo è affatto.
Ma nel resto del mondo esistono esempi simili, di piazze a numero chiuso?
L’unico esempio, simile solo in parte, che mi viene in mente è Piazza Tienanmen a Pechino. Con il Covid è stato introdotto un sistema di prenotazione, che poi è rimasto. Ovviamente quella piazza è grandissima, quindi non c’è contingentamento nel numero di visitatori, ma soltanto una prenotazione così che l’ente gestore sappia quante persone si troveranno in quella piazza in un dato orario di un determinato giorno; è, così, possibile intervenire in modo mirato in caso di sovraffollamento.
E quindi tornando a Fontana di Trevi?
Noi ricercatori ci poniamo sempre questa domanda: qual è il bilanciamento tra l’interesse dei cittadini a godere di un bene pubblico e, quindi, di attraversare liberamente quella piazza godendo di Fontana di Trevi, e la tutela del patrimonio culturale. Sono interessi che confliggono in un caso come questo, e la mia risposta è: bisogna trovare un equilibrio. Non chiudiamo la piazza, ma controlliamo gli accessi. Come si fa, per esempio, con l’Ultima Cena di Leonardo a Milano. In quel caso non ci si stupisce perché si tratta di un luogo chiuso.
A Fontana di Trevi c’è un problema di ‘overtourism’?
Quando parliamo di ‘overtourism’ parliamo di eccesso di presenze turistiche e i riferimenti sono di solito ad intere località. Nel caso di Fontana di Trevi sarebbe meglio parlare di ‘overcrowding’. L’overtourism, infatti, è prodotto dai turisti i quali, per definizione sono persone che pernottano in una data località. L’overcrowding ha, invece, diverse componenti: turisti internazionali, turisti domestici, residenti, visitatori giornalieri (per esempio i croceristi), e attraversamenti della piazza della piazza da parte di diverse popolazioni temporanee (per esempio studenti non residenti). Nel caso di Fontana di Trevi, quindi, sarebbe più corretto parlare di overcrowding, di eccesso di visitatori.
Quali turisti vanno a visitare di solito Fontana di Trevi?
Il turismo a Roma è molto segmentato: si tratta di un turismo urbano legato alle molteplici risorse della città: arte, congressi, business, solo per citare degli esempi. Ci sono turisti internazionali e turisti domestici, ma ci sono anche city users e popolazioni temporanee. Di solito a Fontana di Trevi si trovano soprattutto turisti internazionali e domestici, che visitano Roma per la prima volta (chi torna, di solito non va a Fontana di Trevi); si tratta, soprattutto, di visitatori caratterizzati da brevi tempi di permanenza, medio-bassa capacità di spesa, scarso interesse al bene culturale di per sé e grande interesse al bene culturale come simbolo, come parte di un’esperienza social, da condividere su Instagram o TikTok. Se si chiedesse di pagare 2 euro, queste persone le sarebbero dissuase dall’andare a visitare Fontana di Trevi? Secondo me no.
Ma in generale, Roma è una città interessata dall’overtourism?
A Roma i flussi sono in crescita. Nel 2023 ci sono stati più arrivi che nel 2019, cioè dell'ultimo anno prima del Covid. Perché accade questo? In primo luogo perché parliamo di Roma, una città con innumerevoli e inimitabili risorse turistiche. In secondo luogo perché l’amministrazione locale e il ministero del Turismo hanno portato avanti negli anni politiche per attrarre nuovi visitatori e aumentare i flussi, secondo me sbagliando. Ma non si può sostenere, al contempo, che si vuole ‘un aumento dei flussi' e poi dire che c’è overtourism. O festeggiamo perché aumentano gli arrivi oppure soffriamo perché ci sono troppi turisti. C’è, poi, l’aumentata disponibilità di alloggi per affitti brevi, che favoriscono l’arrivo di nuovi segmenti di turisti. Ci sono, infine, grandissimi flussi crescenti da Paesi ex emergenti, in particolare Cina e India, che sono destinati ad aumentare in quanto, in quei Paesi, sta crescendo la dimensione della classe media che ha l’aspirazione a viaggiare e può permetterselo.
Su Airbnb, secondo lei è giusto impedire nuove aperture nel centro?
Sì, è stato fatto, per esempio, già a Barcellona, ed è stato utile. È stato, inoltre, importante aver introdotto una regolamentazione della tassazione. Ora il problema diventano i controlli, in assenza dei quali continuerà a proliferare l’economia sommersa. Il problema degli Airbnb è che, attraendo i flussi turistici, favoriscono la gentrificazione, espellendo dal centro popolazione residente e temporanea. Il centro storico di Roma diventa inabitabile e, sostanzialmente, si sta Disneyficando come si è già verificato in altre città, un esempio per tutti: Venezia. I negozi sono per turisti, i ristoranti sono per turisti, gli alloggi sono per i turisti…
Quindi Roma continuerà ad attrarre sempre più turisti?
Le le ricerche scientifiche nel campo del turismo e le teorie che ne conseguono ci dicono che c’è un ciclo di vita delle località turistiche. Raggiunto un livello massimo di crescita, se non c’è una rigenerazione attraverso politiche opportune c’è un declino. Questo a Roma sembra non succedere. La Capitale è un caso che smentisce le teorie? Oppure semplicemente siamo ancora nella fase di crescita e prima o poi comincerà il declino? Non lo sappiamo.
Secondo lei?
La riflessione che faccio è: fino a quando i turisti saranno interessati a qualcosa che non ha più identità e non ha più autenticità come il centro storico di Roma? Mi occupo anche di turismo enogastronomico e ho analizzato, insieme ad alcune colleghe, l’offerta enogastronomica lungo il percorso Navona-Trevi; sappiamo che in molti ristoranti, per esempio, si serve la carbonara con la panna, perché ai turisti provenienti dagli Stati Uniti piace così. Di autentico abbiamo soltanto i monumenti, tutto il resto è finto, ad uso dei visitatori. In futuro, i visitatori continueranno ad essere interessati all’esperienza per l’immagine o andranno al di là di questa? In altri termini: continueranno a essere attratti da ciò che è finto e costruito appositamente per loro? E, poi: consentire che spazi pubblici vengano trasformati e piegati a un uso e un consumo turistici è, davvero, fare l’interesse pubblico?