Focolaio Rsa Civitavecchia, verso l’archiviazione. Ma i parenti: “Chiediamo giustizia per quei morti”
Le 16 denunce presentate dai parenti delle 22 vittime non bastano. La procura, a tre anni di distanza dallo scoppio del maxi focolaio, ha chiesto l'archiviazione del procedimento che vedeva coinvolta la Residenza per anziani Madonna del Rosario di Civitavecchia. "Le misure adottate sono state rispettose dei protocolli sanitari per il contenimento del contagio, la notizia di reato è infondata" scrive nella sua istanza il pm Roberto Savelli. Ci eravamo occupati di questa vicenda già ad aprile 2020 quando i familiari degli anziani ricoverati chiedevano di sapere cosa era accaduto all'interno della struttura. Tre anni dopo il processo rischia di non vedere mai la luce.
L'opposizione dei parenti
La richiesta di archiviazione ha provocato l'immediata reazione dei parenti delle vittime, che subito dopo lo scoppio del focolaio si sono riuniti in un comitato. "Per noi i nostri cari sono morti perché all'interno della struttura non sono state applicate le leggi e le normative emanate sia dal Ministero della Salute, sia dalla Regione Lazio" spiegano nel comunicato che hanno redatto per annunciare la loro opposizione, protocollata dal loro avvocato Norma Natali. I membri del comitato, numeri alla mano, espongono perché non sarebbero state rispettate le norme presenti all'epoca per contrastare il contagio: "C'erano 42 positivi per 14 stanze ma la regola prevedeva massimo 2 persone per stanza, i numeri parlano chiaro". Nel comunicato stampa diffuso ieri, i membri del comitato hanno riassunto il quadro denunciato ormai tre anni fa. "La mancanza di DPI e l'assenza di distanza di sicurezza tra pazienti e operatori ha contribuito alla diffusione del virus, causando anche la gravissima carenza di personale sanitario, che non ha potuto assistere adeguatamente i degenti della struttura, Ricordiamo che tutti i degenti arrivati in ospedale o trasferiti presso altre strutture, sono arrivati denutriti e disidratati, in condizioni precarie sia fisiche che psichiche, poiché non tutti potevano avere contatti telefonici con i propri familiari." "Vogliamo giustizia – conclude Antonio Burattini dell'associazione Anchise e presidente del Comitato – chi ha causato queste morti, per negligenza o imperizia non deve più poterlo fare".