Emanuela Orlandi, a Chi l’ha Visto l’analisi della cassetta: ipotesi voce di donna torturata da polizia
L'audio della cassetta con la voce di una donna seviziata è stata al centro della puntata di Chi l'ha Visto andata in onda ieri sera. Ospite Pietro Orlandi, che per la prima volta nel 2016 portò proprio al programma i tre minuti di audio che da anni sono avvolti nel mistero: è Emanuela la ragazza che urla? O, come dissero gli inquirenti nel 1983, si tratta di spezzoni di film porno montati ad arte per depistare il caso? E se davvero si tratta di una pellicola hard, come mai nessuno ha mai saputo dire quale fosse? Domande a oggi ancora senza risposta. O, perlomeno, le risposte date finora appaiono totalmente insufficienti.
La storia di quella cassetta inizia il 17 luglio 1983, quando viene fatta recapitare da una persona sconosciuta all'agenzia Ansa. Subito portata dai giornalisti in questura, viene analizzata e fatta ascoltare anche alla famiglia Orlandi, che nella frase ‘mi lasci dormire per favore' sembra riconoscere la voce di Emanuela. Il discorso viene chiuso quando si dice che quella cassetta era un depistaggio. Eppure agenti del Sisde che l'avevano ascoltata inizialmente dicono che non c'è finzione, una donna viene realmente torturata in quell'audio. Ma se quella ragazza non è Emanuela, allora chi è?
Due giorni prima che la cassetta venga fatta ritrovare, si era concluso un processo nei confronti di alcuni funzionari di polizia accusato di aver torturato delle giovani donne accusate di far parte o essere fiancheggiatrici delle Brigate Rosse. Si tratterebbe di ragazze arrestate in merito al sequestro del generale americano James Dozier, poi effettivamente liberato dopo 42 giorni di prigionia. Nel corso della puntata vengono fatte ascoltare stralci di testimonianze di tre donne: tutte loro raccontano di essere state sottoposte, oltre che a sevizie, anche alla pratica della privazione del sonno. Non solo: nell'audio della cassetta, sembra che la ragazza torturata abbia in bocca qualcosa che le impedisce di parlare bene. "Mi avevano spogliata, tirato giù le mutande – racconta una delle ragazze torturate durante l'interrogatorio – mi strappavano i peli del pube. Mi davano botte ai genitali, allo stomaco, all'addome, mi prendevano a ceffoni e minacciavano di violentarmi con un bastone. Dopo sono stata per sette ore su una sedia, appena mi addormentavo mi svegliavano". Non è assurdo pensare che queste sevizie siano state registrate. E se lo fossero, le frasi pronunciate dalle donne, e anche quel ‘mi lasci dormire', potrebbero essere molto simili a quelle fatte trovare nel nastro della cassetta finora legata alla scomparsa di Emanuela Orlandi.
Bisogna ricordare che la cassetta originale, che conteneva oltre dieci minuti di audio, è sparita. Non è mai stata ritrovata, quando invece sarebbe importante ascoltarla, soprattutto alla luce delle nuove e più sofisticate tecniche investigative.
"Bisogna capire che tipo di messaggio volevano inviare queste persone e a chi – dice Pietro, parlando di chi ha fatto ritrovare quella cassetta – Noi per tanti anni abbiamo sempre pensato alla questione di Emanuela perché era legata alla sua vicenda, nel retro c'era la solita cosa sulla liberazione di Ali Acga. Io avendola ascoltata 33 anni dopo posso essere stato anche suggestionato, ancora oggi sento quel pezzettino e percepisco in quella frase la voce di Emanuela. Da una parte sono sollevato se non è Emanuela, dall'altra penso che a qualcuno è successo. Ed è un'ingiustizia che è rimasta ingiustizia, al di là della vicenda di Emanuela. Quello che vorrei capire è cosa serviva far ascoltare quell'audio. Spero che la commissione parlamentare sulla scomparsa di Emanuela prende in considerazione questi fatti".