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Elezioni comunali Roma 2021

Elezioni Roma, Micaela Quintavalle (Partito Comunista): “Rivoluzionerò il trasporto pubblico”

Micaela Quintavalle è la candidata sindaca del Partito Comunista di Marco Rizzo, che corre da solo alle prossime elezioni comunali di Roma. Sindacalista, autista di bus e prossima alla laurea in medicina, ha accettato la sfida per difendere i diritti dei lavoratori. Mette in campo la sua esperienza: “Sono convinta di poter rivoluzionare i trasporti a Roma, è l’unica promessa che mi sento di fare ai cittadini”.
A cura di Luca Ferrero
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Micaela Quintavalle ha scelto di correre per lo scranno di prima cittadina con il Partito Comunista. Già autista di bus a Londra, Parigi e Mosca, nel 2018 viene licenziata da Atac per aver attaccato pubblicamente l'azienda in un'intervista non autorizzata. Militante sindacalista, nello stesso anno ha ricevuto la proposta di candidatura uninominale in Parlamento con il M5S. Ha rifiutato e poi si è anche pentita di averli votati. Dopo l'improvviso decesso del candidato Claudio Puoti, ha deciso di accettare l'invito di Marco Rizzo: "È l'unico partito che si batte per la difesa dei diritti dei lavoratori".

Storicamente di sinistra, è passata a votare il M5S per poi accettare la proposta del segretario Rizzo. Come nasce la sua candidatura a sindaca per il Partito Comunista?

La candidatura nasce da un evento drammatico. Dopo la delusione del Movimento 5 Stelle, ero andata a sentire la presentazione a sindaco dell’altro candidato del Partito Comunista, l’epatologo Claudio Puoti, che purtroppo è venuto a mancare per un infarto qualche giorno dopo. Il partito ha pensato a me perché ero abbastanza nota a Roma per aver fatto tantissime lotte nella salvaguardia dei diritti dei lavoratori. Così, ho accettato di dare il mio contributo per la crescita dell’unico partito che per me, oggi, difende i lavoratori. Come tanti italiani, dopo aver votato per anni Rifondazione Comunista, avevo dato fiducia al M5S perché li credevo integri e validi. Dopo la fusione con la Lega e col PD e dopo tutte le promesse disattese, pensavo di non avere più una scelta politica. Poi ho conosciuto Marco Rizzo e ho capito di non essere più orfana come pensavo, ma di avere una matita con la punta.

In una recente trasmissione televisiva si è definita come “la più esperta di trasporti in Italia”. Che cosa porta con sé dell’esperienza di lavoro in Atac e qual è la sua ricetta per i trasporti pubblici romani?

La consapevolezza non arriva solo dalla mia esperienza in Atac ma da tutte le aziende di trasporto e da tutti i lavoratori con cui ho interagito sul terreno nazionale. La prima ricetta è quella di togliersi dalla testa la possibilità di una privatizzazione. Non basta, però, lasciare pubblica un’azienda come ha fatto il M5S. Bisogna fare tantissimo e delle cose si possono fare nell’immediato per comunicare al cittadino un cambio di passo dall’oggi al domani. Quindi agire sugli itinerari e sui tempi degli autobus, che probabilmente sono stati fatti da ingegneri alla terza bottiglia di vino della domenica. Non si può avere un bus che passa ogni 70minuti, quando sulla carta dovrebbe passare ogni 10. Bisognerebbe raggiungere una frequenza reale di 15-20 minuti. E poi servono i soldi da reinvestire nell’azienda. Queste aziende non hanno un introito dalla vendita dei biglietti, ad esempio. Bisognerebbe puntare su figure come i bigliettai, per dare informazioni ai cittadini e assicurare che tutti paghino. Si possono fare delle microtrasformazioni per far capire al cittadino che l’interesse è pubblico. Io ho portato gli autobus a Parigi, Londra, persino in Russia. Grandi trasformazioni sono necessarie, certo. Da qui a trent’anni mi piacerebbe veder Roma con 15 linee di metropolitana. Intanto, però, trasformiamo quello che c’è. Bisogna aver fatto questo tipo di lavoro, bisogna prendere i mezzi 365 giorni l’anno e non soltanto in campagna elettorale e bisogna avere l’umiltà di collaborare con tutte le figure aziendali. Sono convinta di poter far cambiare la faccia del trasporto su Roma, è l’unica promessa che mi sento di fare ai cittadini.

Trasporti a parte, in cima al programma del Partito Comunista c’è il lavoro. Cosa farebbe concretamente da sindaca su questo tema?

Internalizzare ogni tipo di servizio privato. Il 20% del trasporto sul gomma a Roma è in mano ai privati: bisogna internalizzare tutte le linee e tutti gli autisti nell’azienda pubblica. Questo vale anche per i rifiuti. Serve portare la raccolta differenziata al 75% cento, avere un’economia circolare e servono filiere specifiche: così si creano posti di lavoro per i giovani disoccupati. Per le periferie, è necessario creare nuove palestre comunali e nuovi licei. E per tutto questo è necessario assumere personale con contratti giusti e pubblici. La città cambia in questo modo.

E qual è la sua idea di città?

Roma oggi non è una città a misura di bambino, di anziano, di diversamente abile. Mi piacerebbe vedere che i diversamente abili possano toccare con mano l’abbattimento delle barriere architettoniche. Mi piacerebbe vedere centri anziani e soprattutto aree verdi per le esigenze dei bambini. Uscire di casa e vedere che ognuno ha delle aree di ritrovo e socializzazione che non siano abbandonate al degrado più assoluto.

L’ultima domanda riguarda il campo della sinistra, che si presenta più che frammentato a queste elezioni. Quali sono le distanze che hanno portato a candidature singole come la sua?

Questo è un déjà-vu perché quando stavo nel sindacato proposi alle piccole sigle di unirci tutti per diventare la quarta forza sindacale. Mi fu risposto: “no, perché poi in televisione ci vai tu e sembra che hai fatto tutto tu”. In questa sinistra è la stessa cosa. Ci sono le sinistre minoritarie che non sono compatibili col Partito Comunista perché vanno di fatto a spalleggiare il PD, un partito che ha annientato i lavoratori, ha annientato l’articolo 18 e i diritti economici. Se le sinistre minoritarie avessero intenzione di unirsi in una sinistra più forte, allora perché non vengono con Marco Rizzo, che ha un’eco mediatica molto importante e ha un’ideologia vera? Se loro non vengono, allora meglio soli.

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