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Opinioni

È ora che le istituzioni mettano un freno all’antimafia show di Don Coluccia

Dopo che un agente della scorta ha sparato in aria tra i lotti del Quarticciolo, è ora che anche le istituzioni trovino il coraggio di discutere del modo di fare antimafia di Don Antonio Coluccia.
A cura di Valerio Renzi
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La pistola mitragliatrice Beretta M-12 è una delle armi più diffuse in dotazione alle forze armate italiane e anche a Polizia, Carabinieri e Guardia di Finanza. L'avrete sicuramente vista tutti, impugnata dagli agenti di pattuglia, fermi a piantonare un obiettivo sensibile o a un posto di blocca. L'M-12 può sparare a colpo singolo o a raffica, nei caricatori ci sono dei proiettili calibro 9, ed è giudicata un'arma particolarmente affidabile perché non si inceppa quasi mai. È con una pistola mitragliatrice Beretta che l'agente assegnato alla scorta di Don Antonio Coluccia, ha sparato in aria qualche sera fa tra i lotti al Quarticciolo. Un fatto grave, una situazione pericolosa, determinata dall'ennesimo blitz show del prete "anti spaccio". Qualcuno poteva farsi male? Sì, qualcuno senza ombra di dubbio poteva farsi male.

Don Coluccia per le sue messe nei quartieri dello spaccio ha ricevuto minacce, ha ricevuto una scorta e dopo aver con successo stretto un rapporto con la sindaca di Roma Virginia Raggi che ne sostenne le iniziative a San Basilio, è ormai il beniamino dei politici di centrodestra. Consulente del Ministero dell'Interno, ospite di convention e conferenze stampa, testimonial di eventi e progetti targati Piantedosi e Meloni.

Quando i blitz di Don Coluccia, ormai sempre più simili a quelli dell'inviato di Striscia Vittorio Brumotti, finiscono con qualche momento di tensione, ecco arrivare la solidarietà di ministri, esponenti politici di primo piano di maggioranza e opposizione. Ieri, dopo che la notizia del "fattaccio" di Quarticciolo, anche il sindaco di Roma Roberto Gualtieri ha fatto l'ennesima telefonata di solidarietà al parroco

È sempre difficile togliere dal piedistallo i testimonial di cause sulla carta tutte giuste. Chi non è d'accordo con la necessità di strappare alla criminalità organizzata interi quartieri di Roma? Tutti, tolti i mafiosi, siamo d'accordo. Ma il come lo si fa e il perché lo si fa non sono questioni indifferenti. Per questo oggi è necessario togliere a Don Brumotti la sua pretesa di infallibilità perché agisce in nome di una giusta causa, e discutere delle modalità del suo fare antimafia.

Don Coluccia arriva in un quartiere più o meno solo, accompagnato dalla scorta e sempre più spesso da esponenti politici. Si mette nelle zone di spaccio e comincia a urlare al megafono che non bisogna spacciare (efficacissimo). Prende la palla e improvvisa, sempre più o meno da solo, una partitella o due passaggi. La gente ormai lo riconosce e non lo ama. Non lo amano sicuramente vedette e pusher che si vedono disturbare nel loro business per un'oretta, ma che se ne stanno in disparte, ma soprattutto il suo modo di fare fa arrabbiare le persone che si sentono attaccate dal prete antimafia che arriva a casa loro e comincia a urlare, e poi se ne va senza che nulla sia cambiato.

Don Coluccia occupa lo spazio dei quartieri popolari, con la sua presenza ne impone la militarizzazione. Porta telecamere invadenti in cerca di qualcosa da raccontare, del "quartiere criminale" da mostrare. Impone lo stigma su zone già ghettizzate. "Qui si spaccia!", certo si spaccia, sai che novità. Ma si vive, si abita, si gioca, ci si incontra. In quei cortili e in quelle piazze ci sono tante contraddizioni. E arrestare chi delinque e reprimere è compito di altri, non dei preti. Per questo le persone si arrabbiano, per questo i ragazzini lo accolgono rispondendogli per le prime dai balconi. Ma chi lo conosce questo Don Antonio Coluccia che arriva per andarsene? Qui serve gente che rimane, giorno dopo giorno.

Il problema della penetrazione mafiosa e dell'incidenza del welfare criminale è incredibilmente sottovalutato a Roma dalla politica, non riuscendo mai nonostante le inchieste, a imporsi davvero nell'agenda di discussione della città. Ma per contrastare tutto questo serve lottare contro la descolarizzazione, fare atterrare sulle periferie non solo servizi anagrafici ma opportunità, serve riqualificare l'edilizia residenziale pubblica e un welfare che risponda ai bisogni immediati dei cittadini. Servono operatori di strada e dopo scuola. Don Coluccia non porta tutto questo, e non porta neanche l'esempio del missionario che costruisce un'alternativa tangibile, che conquista la fiducia delle persone e con esse costruisce una strada di emancipazione comune. Porta piuttosto una guerra alla droga soft, fatta di strillacci e moralismo. Sabato sera a Quarticciolo si è rischiato che lo show diventasse tragedia. Sarebbe ora che le istituzioni spiegassero al Don che questo è un pessimo modo di fare antimafia.

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Giornalista pubblicista e capo area della cronaca romana di Fanpage.it. Prima di arrivare a Fanpage.it ho collaborato su il manifesto, MicroMega, Europa, l'Espresso, il Fatto Quotidiano. Oltre che di fatti e politica romana mi occupo di culture di destra e neofascismi. Ho scritto per i tipi di Edizione Alegre "La politica della ruspa. La Lega di Salvini e le nuove destre europee" (2015) e per Fandango Libri "Fascismo Mainstream" (2021).
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