Anche in questo 2022 la lista delle scuole occupate continua ad allungarsi a poco a poco. Studenti che si barricano negli istituti, calano striscioni e restano a vivere la scuola “come vorrebbero loro”: sono già più di dieci gli istituti che sono stati occupati. L'ultimo è stato il Virgilio, nella notte fra il 5 e il 6 dicembre.
Continua la protesta contro la scuola non a misura di studente. Quella scuola che dovrebbe garantire a tutti e tutte le stesse possibilità e che, invece, non fa altro che acuire le differenze; che dovrebbe insegnare come comportarsi gli uni con gli altri e che invece insegna a giudicare e non disdegna l'umiliazione; che dovrebbe preparare a vivere e che invece uccide.
Nonostante tutto questo, i ragazzi e le ragazze restano sui banchi. Ma non bisogna stupirsi se contestano le condizioni in cui studiano e vivono ogni giorno. Come molte generazioni prima di loro, manifestano la loro disapprovazione. I fondi sono sempre troppo pochi, le spese sempre troppe. E le loro richieste quasi mai ascoltate. Politici, presidi, genitori: la protesta di giovanissimi e giovanissime dovrebbe rappresentare un grido d’allarme proprio per loro che ignorano quanto hanno da dire. È proprio dalle presidenze, invece, che arrivano le punizioni per chi ha deciso di occupare.
Presidi minacciano e sanzionano gli e le studenti tagliando gite e viaggi di istruzione, come se passare le giornate al freddo perché i termosifoni non funzionano mai o rischiare la vita mentre si viene sfruttati in orario di alternanza scuola lavoro non fosse abbastanza.
Cosa diventa la scuola se ogni preside al primo cenno di protesta urla repressione piuttosto che concedersi al confronto? Se trova una ragione per punire piuttosto che educare? È più importante avere una bella grafia o avere un’idea per essere parte del cambiamento? Perché allora punire gli e le studenti che occupano una scuola per protesta? Hanno paura per il futuro che li aspetta, come biasimarli: sono la generazione nata con il cellulare in mano, ma anche quella con i ghiacciai sciolti e il caldo africano ad aprile.
E come se non bastasse, il covid ha chiuso loro molte porte dell'adolescenza in faccia. Oggi reclamano a gran voce il diritto ad un benessere mentale di cui, fino a qualche anno fa, si sentiva parlare solo in rare occasioni. Vogliono essere liberi e libere, esprimere la propria identità sessuale senza timori e continuare a tutelare i diritti che altri e altre, prima di loro, sono riusciti ad ottenere. Nessun passo indietro, solo avanti. Con la speranza di riuscire a migliorare quella tappa obbligata per la vita di ognuno che dovrebbe formarci per essere la versione migliore di noi.