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Discarica di Malagrotta, Manlio Cerroni condannato a sei anni e quattro mesi per disastro ambientale

Manlio Cerroni, patron di Malagrotta, e il suo braccio destro Francesco Rando, sono stati condannati con l’accusa di disastro ambientale e disastro colposo.
A cura di Natascia Grbic
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Manlio Cerroni
Manlio Cerroni

Manlio Cerroni, proprietario della discarica di Malagrotta, è stato condannato a sei anni e quattro mesi per disastro ambientale e disastro colposo nell'ambito dell'inchiesta sull'impianto per il trattamento rifiuti a nord della capitale. Tre anni al suo braccio destro, Francesco Rando, accusato di disastro colposo. La procura di Roma aveva chiesto una pena di diciassette anni di carcere per Cerroni e undici anni per Rando. Gli imputati dovranno inoltre pagare una provvisionale di 500mila euro alle parti civili, tra cui il Comune di Roma e la Regione Lazio. Il processo è durato dieci anni.

Legambiente: "Sentenza storica"

"La condanna per disastro ambientale nei confronti del proprietario di Malagrotta è una sentenza storica nel nome del popolo inquinato che rende giustizia a tutti quelli che hanno combattuto per tanti anni contro il disastro dei rifiuti a Malagrotta e tutti quelli che combattono ancora per l'economia circolare e la difesa dell'ambiente, nella Capitale come in tutto il paese – hanno dichiarato Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente, e Roberto Scacchi presidente di Legambiente Lazio – Quella che è stata per decenni la più grande discarica d'Europa, ha generato una ferita ambientale spaventosa, chi doveva fermare l'inquinamento terribile che questa provocava non lo ha fatto e l'esito del processo lo conferma indiscutibilmente".

L'avvocato di Cerroni: "Faremo appello"

Secondo l'accusa, Malagrotta aveva provocato "un disastro ambientale consistente nell’alterazione dell’equilibrio di un ecosistema (suolo, sottosuolo, flora) e una offesa alla pubblica incolumità in ragione della rilevanza del fatto per l’estensione della compromissione (la discarica si estende su una superficie di circa 160 ettari) e per il numero delle persone offese o esposte a pericolo". Alessandro Diddi, legale di Cerroni, ha già dichiarato che farà ricorso in appello. "L'istruttoria non ha individuato da quale punto sarebbe fuoriuscito il percolato poiché tutte le prove idrauliche disposte non sono riuscite a individuarlo – ha dichiarato l'avvocato ad Adnkronos – Attendiamo di leggere le motivazioni per capire quale sia questo punto considerando che la Corte ha ritenuto evidentemente che si poteva fare di più per evitare questa fuoriuscita. Va sottolineato che secondo l'accusa sostenuta dalla procura Cerroni e Rando avrebbero avvelenato le acque anteponendo il lucro personale alla tutela dell'ambiente e della sanità pubblica, ipotesi invece scartata dalla Corte che non ha infatti comminato la pena richiesta dai pm a 17 anni. In ogni caso ricorreremo perché non accettiamo che Cerroni, anche colposamente, possa aver inquinato l'ambiente".

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