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Dicono che la cultura è il nostro petrolio, ma lo Stato ha creato soltanto precari

In molti hanno detto, negli anni scorsi, che “la cultura è il petrolio dell’economia italiana”. Al momento, però, il settore è sostenuto da un esercito di lavoratori senza diritti.
A cura di Enrico Tata
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Sfruttati, mal pagati e spesso in nero, praticamente senza diritti, precari a vita. Sono gli operatori del mondo dei beni culturali, che a Fanpage.it hanno raccontato le loro storie e le loro condizioni di lavoro. Non si tratta dell'unico settore in crisi in Italia. Le loro esperienze sono spesso sovrapponibili a quelle di altri lavoratori, che hanno studiato tutt'altro e che svolgono mestieri diversissimi. Ma il caso degli operatori culturali è diverso per almeno un aspetto, decisivo: di fatto, sono o dovrebbero essere in gran parte lavoratori pubblici. Al pari di insegnanti e operatori della sanità. In realtà, tuttavia, negli ultimi trent'anni il loro lavoro è stato quasi totalmente appaltato a ditte esterne. Nei musei, ormai, tutto è gestito da cooperative e aziende vincitrici di bandi che, spesso, costringono i collaboratori a svolgere mansioni in nero, con paghe da fame e senza alcun diritto. Biglietteria, bookshop, visite guidate, prenotazioni, accoglienza, didattica: tutto è appaltato all'esterno con bandi al ribasso o affidato in concessione. In altre parole: la cultura raccontata dai governi come servizio pubblico, come volano per la crescita economica in Italia. Ma a guadagnarci sono in realtà i privati che, spesso, si arricchiscono alle spalle dei lavoratori, almeno ascoltando le storie di chi prova ad accedere a questo settore. Operatori museali e archeologi raccontano una vita di precariato e senza prospettive di assunzione. In molti hanno già cambiato lavoro e non provano neanche più a tentare di svolgere il mestiere per il quale hanno studiato.

La pratica degli appalti esterni, alle aziende e alle cooperative, è cominciata a partire dal 1993, con la legge Ronchey, ed è stata ampliata nel 2004 con il Codice Urbani. La prima legge, approvata all'unanimità dal parlamento, ha sdoganato l'intervento dei privati nei musei. I servizi aggiuntivi, da allora, possono essere appaltati all'esterno. Nel 2004, il Codice Urbani ha ampliato altri servizi, come accoglienza, visite guidate, laboratori e didattica, mostre, vigilanza, pulizie. Nel 2019 (pre pandemia) in Italia gli incassi lordi per le visite guidate per musei, monumenti e aree archeologiche statali ammontano a 8 milioni di euro. Di questi soldi, soltanto 300mila euro sono andati alla Soprintendenza. Forse è arrivato il momento di riequilibrare il rapporto tra pubblico e privato per evitare di creare in futuro nuovi precari in un settore la cui crisi è stata accentuata drammaticamente dalla pandemia. In molti hanno detto, negli anni scorsi, che "la cultura è il petrolio dell'economia italiana". Al momento, però, il settore è sostenuto da un esercito di lavoratori senza diritti.

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Sono giornalista professionista dal 2015 e mi occupo della cronaca di Roma su Fanpage.it. Ho fatto stage a Repubblica.it, Radio Radicale, ho fondato e diretto la web radio 'Radio Libera Tutti' e sono diventato giornalista pubblicista, nel 2010, collaborando con il settimanale locale 'Velletri Oggi'. Ho frequentato la Scuola di Giornalismo Walter Tobagi/Ifg dell'Università Statale di Milano, ho ricevuto una borsa di studio finanziata da Google per l'eccellenza nel giornalismo e ho vinto il concorso 'Una storia ancora da raccontare: Peppino Impastato', organizzato dal Festival Internazionale del Giornalismo.
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