Detenuto suicida nel carcere di Frosinone: “Non aveva nessuno fuori, sarebbe uscito tra un anno”
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Un uomo di 52 anni è morto questa mattina nel carcere di Frosinone. Secondo le prime informazioni, si sarebbe tolto la vita nella sua cella: quando i soccorritori sono arrivati, non hanno potuto fare nulla per lui. Una notizia, questa, data dal Garante dei detenuti del Lazio Stefano Anastasia, che in quel momento si trovava nel penitenziario per una riunione con la dirigenza Asl e la direzione dell'istituto. "Quest’anno – le parole del Garante – è iniziato come il precedente, il peggiore di sempre: il carcere è sempre più luogo di morte e disperazione, ma chi ne ha la responsabilità politica e amministrativa sembra indifferente, e tutto ciò non si può più tollerare".
L'uomo, che aveva scontato cinque anni di carcere a Regina Coeli e che era stato trasferito un anno fa a Frosinone, sarebbe stato libero tra poco più di dodici mesi. "Non aveva nessuno fuori, e nessuno con cui abbia fatto colloqui nell’ultimo anno di carcere", ha aggiunto Anastasia. Seguito dal Servizio per le dipendenze, era stata fatta richiesta per trasferirlo in comunità: un trasferimento che mai potrà essere effettuato dato il 52enne ha deciso di togliersi la vita. Ha aspettato che i suoi compagni di cella non ci fossero: uno era a scuola, l'altro a fare un colloquio, e non sarebbero tornati prima di un'ora almeno. Ha potuto mettere così in atto il suo proposito, senza che nessuno potesse fermarlo.
Il 52enne è il secondo detenuto morto nel Lazio dall'inizio di quest'anno. Il 13esimo in tutta Italia, più un operatore, "per un totale di ben 14 morti di carcere e per carcere in 50 giorni", spiega Gennarino De Fazio, Segretario Generale della UILPA Polizia Penitenziaria. "Peraltro – aggiunge – la tragica conta dei suicidi potrebbe essere ancora più grave se si desse una qualificazione definitiva ad almeno una decina di decessi per cause da accertare. "Mentre l'attenzione del Governo e, particolarmente, della premier Giorgia Meloni, sembra meticolosamente focalizzata a conseguire il funzionamento dei centri di permanenza e rimpatrio con annesso il carcere in Albania, le prigioni in ‘patria' continuano a essere abbandonate a se stesse e, con esse, detenuti e lavoratori, in primis quelli del Corpo di polizia penitenziaria, sottoposti a turnazioni disumane e privati di elementari diritti anche di rango costituzionale, spesso aggrediti e per giunta sottoposti a procedimenti disciplinari e penali". De Fazio ha concluso dicendo che "servono urgenti misure deflattive della densità detentiva e il corposo potenziamento della Polizia penitenziaria, oltre che delle altre figure professionali, così come necessita garantire l'assistenza sanitaria e avviare riforme complessive dell'intero apparato d'esecuzione penale".