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Data alle fiamme corona di fiori al monumento per Mario Amato, il giudice ucciso dai neofascisti

L’episodio attorno alle 19.00 di ieri. Sul posto carabinieri e vigili del fuoco. Lo sfregio alla memoria del giudice assassinato nel 1980 dai neofascisti dei Nar.
A cura di Redazione Roma
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A viale Jonio, nel quartiere di Montesacro, c'è un momento ricorda il sacrificio di Mario Amato, il giudice assassinato il 23 giugno del 1980 da un commando dei Nuclei Armati Rivoluzionari. Il gruppo neofascista lo raggiunge mentre esce di casa per andare a prendere l'autobus e recarsi a lavoro. Gilberto Cavallini lo fredda con un colpo di pistola alla testa, poi scappa in moto con Luigi Ciavardini che lo aspetta. Questa notte ignoti hanno dato fuoco alla corona di fiori posta alla base del monumento che ricorda il giudice lì dove è stato ucciso. Il gesto è stato denunciato in una nota dalla Giunta Esecutiva dell'Anm del Lazio, con una "ferma condanna" del "gesto esecrabile" a "sfregio della memoria" di Amato. L'episodio è avvenuto nella serata di ieri attorno alle 19.00. Sul posto sono giunti i vigili del fuoco e i carabinieri della Stazione di Montesacro. Non sembrano esserci dubbi sulla natura dolosa del gesto.

Mario Amato: il sacrificio del giudice con le scarpe bucate lasciato solo dallo Stato

Amato aveva ereditato le indagini sulle attività della destra eversiva e armata da un altro giudice, Vittorio Occorsio. Neanche il fatto che Occorsio fosse stato assassinato bastò a tutelare in maniera adeguata il giudice, che stava portando alla luce i legami tra i Nar e la Banda della Magliana e mettendo nel mirino della giustizia la strategia e i membri del terrorismo nero. Fu però lasciato solo dentro il Palazzo di Giustizia, tanto da non vedersi affidata una scorta che lo tutelasse. Pochi giorni dopo la strage della Stazione di Bologna cambiò il clima, facendo salire il terrorismo neofascista in cima agli interessi delle procure di tutta Italia. Ma Amato era già morto. Le fotografie dell'epoca ritraggonoun particolare commuovente: quel servitore fedele dello Stato, che continuò a lavorare nonostante il pericolo a cui era esposto, andava in procura con una delle scarpe bucate.

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