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Covid 19

La neuropsichiatra: “Isolamento amplifica i disagi psichici nei ragazzi, preoccupa autolesionismo”

Arianna Terrinoni, neuropsichiatra del Reparto Adolescenti di Neuropsichiatria Infantile Policlinico Umberto I, è specializzata nel trattare condotte autolesive e suicidarie in ragazzi e adolescenti. Dal suo osservatorio spiega come l’isolamento abbia fatto esplodere il disagio psichico nei ragazzi e ai genitori come riconoscere i campanelli d’allarme.
A cura di Natascia Grbic
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"Durante la pandemia ci sono state due tipologie di situazioni: nella prima i ragazzi più vulnerabili non andavano al pronto soccorso, presumibilmente perché c'era paura di contrarre il coronavirus. Con la fase due abbiamo invece cominciato a vedere una perturbazione generale negli adolescenti, che hanno cominciato a soffrire dell'effetto a medio termine delle chiusure e delle sue conseguenze". A parlare a Fanpage.it è Arianna Terrinoni, neuropsichiatra infantile e psicoterapeuta dell’età evolutiva presso il Dipartimento di Neuroscienze e Salute Mentale del Reparto Adolescenti di Neuropsichiatria Infantile Policlinico Umberto I Roma. Esperta dei disturbi adolescenziali e di comportamenti autolesivi e suicidari negli adolescenti, ha affrontato un argomento purtroppo molto discusso negli ultimi tempi: l'effetto della pandemia sulla salute mentale dei ragazzi. Mettendo però in guardia su un punto molto importante: il covid ha fatto da amplificatore, ma sono anni che le condotte autolesive e suicidarie sono in aumento tra i giovani. Un monito importante da tenere a mente, affinché non si smetta di parlare di questo problema una volta che la pandemia sarà passata.

A fine lockdown i pazienti vulnerabili sono esplosi

"In Italia abbiamo un'alta dispersione scolastica già da prima del covid, con molti adolescenti che soffrono di fobia scolare, ansia e problemi legati al bullismo – spiega Terrinoni – Il primo impatto che ha avuto il covid è stato in realtà ridurre la pressione scolastica e relazionale su questi adolescenti e molti ragazzi nel primo lockdown sono stati apparentemente meglio. Quelli più sofferenti si trovavano in situazioni più croniche o ad alta intensità (mi riferisco a pazienti autistici o con disabilità intellettiva) che stando a casa per molto tempo e non riuscendo ad accedere a terapie riabilitative si sono trovati in maggiore difficoltà. E a fine lockdown i pazienti più vulnerabili sono esplosi". Se prima i pazienti arrivavano in pronto soccorso per diverse condizioni psichiche o altri sintomi, adesso gli accessi sembrano essere più orientati verso condotte autolesive. "Questo non vuol dire che tutti i pazienti siano suicidari – specifica Terrinoni – dietro si può nascondere anche una richiesta di attenzioni o cure. In questo momento è il biglietto da visita più utilizzato perché c’è una richiesta di attenzioni forte e un rapporto con la vita molto ambivalente. In più, tali avvenimenti creano un grande clamore e un’esposizione mediatica alta”.

Le condotte autolesive e suicidarie nei giovani

Cos'è cambiato nei giovani, cos'è che sta aumentando il loro malessere? "C'è sicuramente un futuro sospeso determinato da uno stato di indefinizione generale: nemmeno gli adulti e i tecnici della salute mentale sanno realmente quando finirà la pandemia. Stanno viaggiando dentro una nebbia fitta, dove immaginare un domani è sempre più difficile, e questo incide su un umore più fragile". Alcuni di loro, quelli che maggiormente hanno bisogno di aiuto, arrivano a farsi male. "Tagliandosi, ad esempio, dicono di trasferire il dolore mentale sul corpo e provano una sensazione di sollievo emotivo. Ma c'è un altro effetto importante da considerare, ed è l'emulazione". Le condotte autolesive nascono anche per mimetismo. "Se un compagno di classe si taglia e l'altro si identifica nei suoi problemi o si sente vulnerabile, può pensare di approcciare alla vita anche in quel modo". Negli ultimi anni i ragazzi hanno subito una serie di trasformazioni che non vanno imputate solo alla scuola. Anzi. Paradossalmente per alcuni di loro, quelli che più soffrono la pressione scolastica, la Dad ha costituito un alleggerimento. "C'è stato un cambio di rotta. Durante la pandemia molti genitori hanno perso il lavoro, mutato radicalmente i loro ritmi quotidiani, per i ragazzi c’è stata un’inversione del ritmo sonno/veglia con la possibilità h 24 di accedere al mondo esterno spesso solo con dispositivi elettronici”.

I picchi a ottobre/novembre

Questo tipo di condotte, autolesive o suicidarie, aumentano generalmente nei mesi di ottobre/novembre, nel periodo delle feste e alla fine della scuola. "Abbiamo sempre avuto dei picchi in questi periodi, probabilmente perché a scuola aumenta la difficoltà, oltre a fattori stagionali legati ai disturbi dell'umore. Detto questo, è vero che nella seconda ondata della pandemia abbiamo assistito a molti accessi in pronto soccorso per condotte autolesive o suicidarie di diverso tipo, o alcuni trattamenti sanitari. Bisogna però specificare che non esistono dati sull'aumento dei suicidi. Si è molto parlato di questo aumento tra i ragazzi ed è un rischio, perché parlare di suicidio in adolescenza ha anche un'azione attrattiva verso di loro".

Una tendenza che va avanti da prima del covid

Da tempo i neuropsichiatri infantili cercano di sensibilizzare l'opinione pubblica riguardo questa tendenza nella popolazione adolescenziale. Una tendenza autolesiva che una volta era appannaggio di persone di età più elevata, mentre tra i giovani era meno frequente. Adesso invece si sente parlare sempre più spesso di giovani che hanno tentato – o sono riusciti – a togliersi la vita. "Molti titoli di giornale nell'ultimo periodo stanno mettendo in evidenza un aumento delle condotte autolesive e suicidarie. Una premessa importante che dobbiamo fare è che questo fenomeno era già fortemente aumentato prima del Covid. Nella popolazione adolescenziale c'è una percentuale che oscilla tra il 17 e il 30% che dichiara di aver avuto condotte autolesive: si tratta di dati rilevati non ora, ma nel biennio 2014/2015. Si parla come se fosse un fenomeno esploso ora, ma ha una storia antica".

I segnali da tenere d'occhio

Come accorgersi se un ragazzo sta vivendo un periodo di difficoltà? "Questi comportamenti sono piuttosto subdoli – spiega la neuropsichiatra – In linea generale bisogna osservare se un adolescente che prima aveva varie ragioni per stare al mondo perde interesse o si chiude. Se c'è stato un calo scolastico o un cambiamento alimentare o nel ritmo del sonno. In merito agli agiti autolesivi va osservata la presenza anomala di segni sul corpo, se in casa circolano oggetti contundenti mai visti prima. Un altro comportamento da tenere d'occhio è se si chiude troppo in bagno o tende a coprirsi troppo e non mostrare parti del proprio corpo, anche in modo incongruo rispetto alle stagioni. Non è facile, perché in questo periodo anche i genitori sono in lotta per la sopravvivenza e soprattutto i ragazzi sono molto abili nel nascondere le cose agli adulti". E, in ogni caso, il ragazzo "merita di essere capito, compreso e ascoltato".

Aumenta la sofferenza psichica degli adolescenti

"C'è una visione un po' superficiale rispetto a quello che stiamo vivendo. Si sente spesso dire che il problema è la scuola che non riapre, ma anche prima del covid i ragazzi soffrivano. Abbiamo tra i tassi più alti d'Europa di dispersione scolastica e forse alcune domande non ce le siamo fatte in tempo. È utile che il Covid oggi ci aiuti a comprendere qualcosa che non avevamo compreso prima. Esiste una sofferenza psichica degli adolescenti che sta aumentando. Probabilmente vi è un depauperamento delle strutture territoriali, dell’associazionismo e di tutte quelle organizzazioni che diffondevano sostegno e anche cultura, forse siamo più isolati o indifferenti, e noi adulti più superficiali e quindi non sappiamo ascoltarli. Non vorrei che finito il covid si creda che è tutto a posto, perché non è così. La pandemia ha fatto da amplificatore, ma da tempo i ragazzi sono lasciati soli".

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