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“Costretta a portare avanti la gravidanza fino a 3 mesi, in ospedale volevano convincermi a non abortire”

Per abortire Luisa ha percorso 600 chilometri, partendo dal Lazio e arrivando in Veneto. “Ero terrorizzata succedesse qualcosa che poi mi impedisse di abortire, e che sarei stata costretta a portare a termine la gravidanza”.
A cura di Natascia Grbic
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Se avete avuto difficoltà ad accedere all'interruzione di gravidanza, o siete state trattate in modo irrispettoso durante un aborto, scrivete a segnalazioni@fanpage.it. Daremo voce alle vostre storie.

"Nel 2013 avevo ventisei anni, una relazione stabile, convivevo con il mio fidanzato di allora. Insomma, nulla di tragico. Prendevamo precauzioni, ma sono rimasta incinta nonostante l'anello anticoncezionale". Luisa oggi è una donna di 37 anni. La sua storia risale a undici anni fa. "Ho deciso di raccontarla dopo aver letto le testimonianze di altre ragazze sul difficile accesso all'interruzione di gravidanza – spiega – Me ne hanno fatte e dette di ogni. Io ho il pelo sullo stomaco e sono andata avanti, ma se ci fosse stata un'altra al posto mio non so come avrebbe reagito".

Luisa è veneta ma vive a Roma da diciassette anni. "Ho fatto il test di gravidanza a una settimana dal ritardo delle mestruazioni. Il mio ragazzo di allora mi disse che la decisione era mia e mi avrebbe supportata in qualsiasi caso. Ma io sono sempre stata sicurissima, bambini non ne voglio in generale nella vita e ho deciso di procedere con l'interruzione. Mi sono rivolta a un consultorio e a un ospedale a Roma, ma dopo due volte che incontravo solo obiettori di coscienza ho deciso di andare in Veneto, pensando fosse stato più semplice".

"Sono andata in un ospedale vicino alla città dove vivo in Veneto sperando di poter avviare l'iter per l'ivg, ma erano tutti obiettori di coscienza. Mi hanno comunque fatto un'ecografia confermando la gravidanza, ma l'ambiente non era proprio sereno. Mi sono trovata a fare i conti con il borbottio del personale, un'infermiera mi ha chiesto se ero fiera di me stessa. All'ecografia mi hanno detto che ‘si sentiva il cuoricino' e che l'embrione era grande ‘sarà alto come il papà'. Quando ho fatto presente che non volevo portare avanti la gravidanza mi hanno guardata come fossi un mostro. Ho dovuto girare due ospedali prima di riuscirne a trovare uno dove mi avviassero la pratica". Quando Luisa fa l'ecografia, le viene detto che non può fare l'aborto farmacologico perché l'embrione è cresciuto troppo. "Dicevano che era arrivato a un centimetro e avrei dovuto fare il raschiamento. Ma poi è successa una cosa strana: mi hanno comunicato che la gravidanza era ancora a uno stadio iniziale, e che avrebbero dovuto aspettare che diventasse un'emergenza per operarmi. Mi hanno fissato l'intervento un mese e mezzo dopo, quando sarei stata a undici settimane". Luisa ha chiesto spiegazioni, non capendo il perché di quell'attesa: si tratta in effetti di una pratica singolare che non rispetta il normale iter nei casi di interruzione di gravidanza. "Mi hanno detto che non potevano fissarmi l'operazione prima delle undici settimane perché nel caso poi si fossero presentate delle ragazze che avevano più urgenza. Ho provato a insistere ma sono stati irremovibili, quindi sono tornata a Roma ad aspettare che arrivasse il mese di aprile".

Qualcosa di strano effettivamente c'era: durante le visite e i controlli per avviare la pratica dell'Ivg, il personale sanitario ha provato varie volte a far cambiare idea a Luisa. "Continuavano a dirmi di cambiare idea, chiedevano se il mio ragazzo era d'accordo con l'interruzione della gravidanza. Hanno provato a dire che mi stava costringendo lui, poi quando ho detto che non era così se non si vergognava a stare con una che non voleva una famiglia. Dicevano ‘ma vuoi parlare con noi'. Un'infermiera mi ha detto che sarei diventata un'assassina, le ho risposto che è bello esserci quando si è voluti e che per fortuna sono nata in un secolo in cui è permesso scegliere. Lei ha continuato dicendo che l'aborto è una cosa brutta, consigliandomi di partorire e al limite poi abbandonarlo in ospedale. A distanza di tempo ho pensato che forse hanno aspettato fino all'ultimo proprio per provare a farmi cambiare idea".

Dalla prima visita all'interruzione di gravidanza è passato un mese e mezzo. "Sono dovuta tornare a Roma e aspettare da incinta quel fatidico 15 aprile. Ero terrorizzata succedesse qualcosa che poi mi impedisse di abortire, e che sarei stata costretta a portare a termine la gestazione. Senza contare il malessere fisico, perché avevo moltissime nausee che mi impedivano di stare bene. Avrei voluto chiudere questa storia il prima possibile, me l'hanno impedito".

Finalmente arriva il 15 aprile, e Luisa torna nel Veneto per interrompere la gravidanza. "Ero all'undicesima settimana, sette giorni ancora e non mi sarebbe stato più consentito. Ero una corda di violino, pensavo ‘e se cambiano idea e non me lo fanno più fare?' Quando sono entrata in sala operatoria sono stati invece carinissimi, mi hanno trattata bene e messa a mio agio. Tutto è andato per il meglio alla fine, ma è assurdo che l'abbiano dovuta far diventare un'emergenza. Mi sono fatta i primi tre mesi di gravidanza, cosa che non volevo assolutamente. Io sono una persona forte e sicura di me, non mi hanno messa in crisi: ma se ci fosse stata un'altra al posto mio, cosa sarebbe successo?".

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