Così parlava la ‘ndrangheta di Roma: “Pronti alla guerra, ora siamo un esercito”
Killer pronti ad uccidere, estorsioni, riciclaggio, narcotraffico ma anche infiltrazioni negli appalti per la costruzione di un gasdotto di metano nel Lazio. "Siamo pronti alla guerra" dicevano in un'intercettazione telefonica, i due boss Antonio Carzo e Vincenzo Alvaro quando parlavano dei loro affari a Roma. I tentacoli della ‘ndrangheta avevano attorcigliato la Città Eterna dal Centro fino al Litorale di Ostia, dove era stata creata una "locale" da parte di criminali appartenenti a famiglie di ‘ndrangheta originarie di Cosoleto, centro in provincia di Reggio Calabria. I clan ormai "romanizzati", ma strutturati in maniera verticistica, si avvalevano anche dei Fasciani e degli Spada di Ostia per il recupero crediti e per far cedere alle loro offerte quegli imprenditori romani che non volevano vendere le loro attività commerciali a prezzi stracciati. Sono alcuni focus investigativi, emersi durante la maxi inchiesta della Direzione Distrettuale Antimafia di Roma e della Dia ha portato a 43 arresti tra Roma, Lazio e Calabria, nei confronti di quella che viene considerata la prima locale ufficiale di ‘ndrangheta nella Capitale, dopo quella smantellata nei comuni di Anzio e Nettuno nei mesi scorsi, che verranno sciolti per infiltrazioni mafiose dopo la relazione della commissione d'accesso della Prefettura. Le indagini sono state coordinate dai procuratori Michele Prestipino e Ilaria Calò con i sostituti Giovanni Musarò e Francesco Minisci.
"Una fetta di pane si deve dividere con noi"
A capo della struttura criminale c'erano Antonio Carzo e Vincenzo Alvaro, entrambi appartenenti a famiglie di ‘ndrangheta originarie di Cosoleto, centro in provincia di Reggio Calabria. Uno dei luogotenenti di Vincenzo Alvaro, considerato l'uomo cerniera, tra le ‘ndrine e gli imprenditori "affiliati al Clan" parla con il boss Alvaro per decidere come piegare le ditte non amiche a pagare il pizzo su un'importante opera relativa alla costruzione di un gasdotto tra il litorale e Roma: "Gli mandai l’ambasciata che una fetta di pane… una fetta di pane si deve dividere con noi, con quello dell’impianto del gas qua a Roma, quello del metano…sono quelli che passano la fibra ottica… ora quelli che passano la fibra ottica qua a Roma, il dirigente, uno è della Sirti". Gli interessi dei clan attivi sulla Capitale passavano anche per gli istituti di credito dove avevano entrature con direttori e cassieri, da cui ricevevano consigli su come eludere le indagini tecniche sui conti correnti bancari delle società che operavano attraverso i loro prestanome. Minacciato nel corso delle indagini, anche il giornalista Klaus Davi che aveva lanciato la proposta al comune di Roma di attaccare sotto la metropolitana di Roma, alcuni manifesti con le foto e i nomi dei boss calabresi che avevano interessi criminali nella Capitale.
L'elenco dei locali della ‘ndrangheta
Tra le attività poste in misura di prevenzione per la successiva confisca, il bar Cellini di piazza Capecelatro a Primavalle, il "bar Pedone", di Cinecittà in via Ponzio Cominio il ristorante "Binario 96", il forno "Zio Melo", il "Fish Roma pescherie ingrosso", in via Tommaso d'Aquino, l'ex "Cornetto Cerbiatto" di via Pasquale Alecce, il salone di bellezza "Alpa" di Via Frigento, una sala scommesse e birreria Fontenuova, in via Palombarese, "Pronto Mare Roma ingrosso prodotti ittici", via Enrico Schliemann, il "Ristorante Corallo e Coratella" sempre a Fontenuova e il bar Tintoretto, all'Eur.