In questa campagna elettorale si è parlato molto di rifiuti discutendo, ma spesso riducendo il dibattito all’emergenza: cassonetti troppo pieni, una città sporca, una discarica che non si sa dove fare. Le politiche dei rifiuti oggi sono centrali non solo per mantenere una città pulita, ma perché il ciclo dei rifiuti rappresenta un cardine della transizione ecologica. Pochi giorni fa il Post in un articolo approfondito richiamava i candidati sindaci alla responsabilità, in qualunque modo vadano le elezioni, di affrontare in maniera prioritaria il problema dei rifiuti, spiegando come le ricette semplici e immediate non siano possibili. Nei cinque anni e mezzo dell’amministrazione Virginia Raggi il turn-over di assessori ai rifiuti, presidenti, amministratori delegati di Ama è stato molto intenso anche a causa dell’impossibilità di trovare soluzioni rapide all’emergenza rifiuti o alle differenze di vedute tra l’amministrazione e la governance di Ama. L’avvocata Luisa Melara è stata nominata Presidente del CdA di Ama dalla Sindaca Raggi in uno dei momenti più drammatici della gestione emergenziale dei rifiuti, ma dopo pochi mesi, a ottobre del 2019, ha rassegnato le dimissioni dall’incarico. In quell’esperienza breve ha però elaborato una sua strategia di lungo respiro.
La prima domanda è obbligatoria. Perché la sua presidenza in Ama è durata solo pochi mesi? Quali sono state le ragioni inconciliabili tra lei e la giunta Raggi?
Le mie dimissioni, così come quelle degli altri componenti del CdA da me presieduto, non hanno avuto nulla a che vedere con questioni di poste di bilancio, come inopportunamente dichiarato dalla Sindaca, ma sono state determinate da ragioni assai più gravi, probabilmente più scomode da un punto di vista politico. Mi sono arresa dinnanzi alla assoluta inerzia e constatata mancanza di una fattiva e concreta collaborazione dell’Amministrazione con AMA per superare la situazione critica ed emergenziale riscontrata su più piani con qualità di interventi e tempi di risposta compatibili e coerenti. Difatti le emergenze della Città di Roma e la corretta esecuzione dei servizi da parte di AMA non potevano essere affrontate e risolte senza la partecipazione di Roma Capitale per quelle che sono le sue specifiche e uniche prerogative.
Oggi molti chiedono, di fronte alle difficoltà aziendali di Ama, di privatizzare la gestione dei rifiuti o di ridimensionare e di molto l’autonomia dell’azienda. Qual è la sua opinione.
Diciamo innanzitutto che a oggi AMA gestisce solo la fase di raccolta dei rifiuti, e neanche tutta, e diciamo anche che Ama sostanzialmente non ha più impianti di proprietà. Con la conseguenza che la gestione dei rifiuti, intesa come fase di trattamento e fase di smaltimento, è già in mano a soggetti privati. Per il resto penso che la complessità dell’argomento richieda una più meditata valutazione e un più approfondito studio.
La discussione tra i candidati sindaci è sulla tipologia di nuovi impianti da realizzare e sulla loro collocazione. Non si discute di cosa fare di quelli non più utilizzati. Che ne pensa?
Condivido. La discussione tra i candidati e dei pubblici amministratori in generale non ha mai contemplato il tema della sorte del patrimonio immobiliare pubblico, commerciale e industriale dismesso che invece affligge e deprime le comunità e deturpa i territori. Eppure rappresenta una questione di responsabilità etica, sociale ed erariale che si dovrebbe tradurre nel dovere di progettare, con pragmatismo, tempestività e attuabilità, soluzioni innovative di recupero e di rigenerazione dei luoghi, dalla stessa parte pubblica abbandonati, in autentica coerenza con il concetto di sostenibilità economica, ambientale e sociale. Penso che questo tema meriti risposte adeguate e concrete perché non solo i rifiuti su strada ma anche i pubblici “ecomostri” privano le comunità e i territori di dignità, decoro, bellezza e sviluppo. Un esempio tra i tanti l’ex Centro Carni che da circa dieci anni attende una progettualità da parte delle diverse cabine di regia che si sono succedute nel tempo.
Uno dei progetti più ambiziosi della sua presidenza è stato quello della riconversione dell’ex tmb Salario, l’impianto andato a fuoco nel dicembre del 2018. Su quell’impianto pochi mesi prima c’era stato un report dell’Arpa che ne decretava il malfunzionamento – “il rifiuto che esce è più sporco di quello che entra”, e uno dei suoi primi atti fu la istanza di revoca dell’Aia, ossia l’autorizzazione a lavorare rifiuti in un’area talmente vicina all’abitato che, da un decennio, a causa del malfunzionamento dell’impianto ha compromesso la salubrità di tutti i quartieri circostanti. Ce lo può ricordare e spiegare l’ispirazione di quel progetto?
Il progetto è nato dalla mia profonda convinzione che la gestione della cosa pubblica non può limitarsi a risolvere problemi emergenziali, ma si deve esprimere con il dovere di un pensiero strategico e visionario tradotto in azioni concrete che accrescano il benessere dei cittadini e producano valore per il futuro. Da qui l’idea di trasformare l’ex tmb Salario nella Cittadella della Ecosostenibilità (una Urban living Lab) in partnership con ENEA. Un progetto di rigenerazione a zero emissioni con l’impiego delle migliori tecnologie, realizzato con la collaborazione di Enea in un tempo record, che prevede la trasformazione dell’area in un polo “green” al servizio dell’operatività di AMA. Ma prevede anche un centro di ricerca di Enea, un polo universitario sulla green economy, un parco delle biodiversità, un asilo internazionale, un laboratorio dedicato alle arti attraverso il riciclo dei materiali e il coinvolgimento di eminenti esponenti della cultura come Michelangelo Pistoletto e la sua CittadellArte. E a proposito di responsabilità erariale il progetto avrebbe portato al recupero della perdita in bilancio che AMA oggi ha dovuto inevitabilmente contabilizzare a causa della distruzione dell’impianto a seguito dell’incendio del dicembre 2018.
Oggi è ancora realizzabile?
Assolutamente sì. E’ una grande opportunità per la Città di Roma e per i suoi cittadini. Il progetto può ambire a rappresentare un nuovo paradigma delle politiche urbane del futuro. Ma perché questo sogno si realizzi è necessario adottare un approccio pragmatico, che sappia tendere alla semplificazione dei processi e alla collaborazione radicale.