Cimiteri romani al collasso: “2000 salme in attesa di cremazione, serve la maschera antigas”
A Roma anche il trapasso è un calvario di burocrazia kafkiana e inefficienza, che aggiunge al dolore della perdita per amici e familiari, la consapevolezza che il loro caro rimarrà settimane a giacere in una bara in un magazzino in attesa di poter essere cremato. In un giorno qualsiasi, all'esterno del Cimitero Flaminio, fino a tarda sera i carri funebri restano in fila per scaricare la salme. Poi, bisognerà che passi almeno un mese prima della cremazione. Intanto centinaia di bare sono adagiate una appresso all'altra, in capannoni insalubri dove assieme alla dignità delle persone defunte e delle loro ultime volontà, viene stracciata anche quella di chi vi lavora.
"In questo momento ci sono circa 1500 salme in attesa di cremazione, una situazione che denunciamo da mesi e che con la seconda ondata della pandemia a Roma sta esplodendo. Abbiamo raccolto i racconti di cittadini che hanno dovuto aspettare oltre un mese per poter cremare il loro caro". A parlare è Natale Di Cola, della segreteria Cgil Roma e Lazio che da settimane va spiegando come l'aumento dei decessi a causa del coronavirus ha solo portato allo stremo una situazione già al collasso da mesi. Da quando l'intervista è stata registrata alcuni giorni fa, "le salme sono arrivate a quota 2000", ci aggiorna il sindacalista. Sì, perché in questa vicenda tutta romana dove ogni cosa era prevedibile da anni, messa nero su bianco, con provvedimenti presi per non arrivare a questa incresciosa situazione che andavano solo messi in atto, alla fine ci si è messo anche il Covid che però non è di certo l'origine del problema.
Cremazioni: un iter burocratico lungo, succede solo a Roma
Come se non bastasse lo spazio insufficiente per le tumulazioni, la cronica mancanza di personale e di forni crematori, a complicare le cose ci si mette anche una trafila burocratica che appare insensata, come raccontato dagli operatori del settore. "Noi andiamo al Comune per essere autorizzati a fare una sepoltura, poi con l'autorizzazione in mano la pratica per la cremazione dobbiamo andare a presentarla in un altro ufficio dell'Ama. – spiega Valter Fabozzi, titolare dell'omonima impresa di pompe funebri – A quel punto Ama ha quindici giorni per controllare, dopo di che rimanda la pratica al Comune da dove noi siamo già passati e infine, magari dopo altri cinque giorni arriva il via libera, e così siamo arrivati a venti giorni". Salvatore Salemme, segretario dell'EFI (Eccellenze Funerarie Italiane), sottolinea come questa è un'anomalia tutta romana: "Bisogna snellire queste procedure, questo rimpallo tra Ama e Comune di Roma, mentre in tutti gli altri comuni l'autorizzazione è semplicemente rilasciata dall'ufficiale di stato civile".
Anche portare le salme in altri comuni per la cremazione in molti casi non è un'opzione non praticabile. "Le salme potrebbero essere cremate fuori comune, ma l'iter autorizzativo è talmente lungo che se la salma non ha protezione ed è contenuta solo in una barriera in legno biodegradabile diventa una bomba ecologica e nessuno si prende la responsabilità di portarla in un altro impianto", aggiunge Fabozzi.
Che la situazione era ormai ingestibile è emerso con chiarezza lo scorso mese, quando Ama ha chiesto alle imprese di pompe funebri di portare le salme (anche di pazienti morti di Covid) al Cimitero del Verano, per poi trasportarle di nuovo dopo 20 – 3o giorni al Flaminio per la cremazione visto che le camere mortuarie erano ormai sature. "Un iter impensabile e abbiamo ottenuto che Ama facesse marcia indietro, come possiamo girare per Roma con una salma ormai in decomposizione da un mese?", chiede Salemme.
Giancarlo Cenciarelli, segretario della Funzione Pubblica Cgil Roma e Lazio, spiega come i lavoratori sono stanchi e preoccupati per la loro salute, "perché l'ambiente che si sta determinando all'interno del cimitero Flaminio è insalubre e il carico di lavoro eccessivo". Chi conosce i magazzini dove giacciono centinai di bare parla di "depositi infrequentabili", dove per "entrare servirebbe la maschera antigas". In più invece di 130 addetti "ce ne sono a lavoro solo 80, una mancanza di personale ormai cronica visto che Ama non assume da 10 anni", con inevitabili "ripercussioni sulle condizioni di lavoro e la qualità del servizio", aggiunge Cenciarelli.
Un'emergenza annunciata: perché non è stato fatto niente?
Eppure nel 2017 la Giunta Capitolina approvava un piano triennale di indirizzo per l'ampliamento dei servizi cimiteriali, rimasto però fino ad ora lettera morta. Il piano strategico prevedeva il recupero di spazi presenti nei cimiteri esistenti, la costruzione di nuovi impianti crematori e l'ampliamento dei cimiteri minori. "La richiesta di cremazione a Roma come in tutta Italia sta aumentando. – spiega Di Cola – Ama già cinque anni fa chiedeva al Comune di attrezzarsi, prevedendo che nel 2019 al massimo nel 2020 la propria capacità di cremazione non sarebbe stata più sufficiente. Nel 2017 la delibera dava un'indicazione che avrebbe risolto la situazione: quattro nuovi forni crematori e nuovi spazi per seppellire le salme, purtroppo in questi anni non è stato fatto nulla. Finita la pandemia il problema delle cremazioni continuerà, anzi peggiorerà".