Chiude “Qui nun se more mai” a Roma, la storica trattoria amata da Fellini e Hemingway
In via Appia antica, tra i ciottoli originari di età romana del tratto pedonale all'altezza del mausoleo di Cecilia Metella, c'era una storica trattoria. Si chiama ‘Qui nun se more mai' e ieri è stata organizzata l'ultima cena aperta ai clienti. Quindici euro a persona fino a esaurimento scorte. I gestori hanno ufficialmente annunciato la chiusura del ristorante romano con un post su Facebook: "Cari amici, Qui nun se more mai il 30 settembre chiude. Abbiamo cercato in tutti i modi di proseguire l'attività ma non ci hanno permesso di farlo, Speriamo che questo non sia un addio, ma solo un arrivederci. Desiderando salutarvi e ringraziarvi per averci apprezzato e sostenuto negli anni, vi aspettiamo per l'ultima volta. Mangiamo e beviamo fino ad esaurimento scorte".
Alba, Alessandro e loro figlio Eminio hanno in gestione il ristorante del 1983, ma la prima apertura della locanda risale agli anni '20. I proprietari dell'edificio hanno deciso di non rinnovare loro il contratto. . “Qui si fanno solo piatti romani: amatriciana, fettuccine, gnocchi fatti in casa, e ravioli al pomodoro. Quando vado in campagna raccolgo la cicoria e la porto qui, la cuciniamo insieme a mio marito”, ha raccontato la signora Alba. In questo storico ristorante hanno mangiato Federico Fellini, Ernest Hemingway e Curzio Malaparte. Anche Christian De Sica è un cliente affezionato: "Viene sempre, gli piacciono le fettuccine fatte in casa”.
"Una volta qui c’era la posta dei cavalli che arrivavano a Roma, con cibo e bevande e si fermavano qua a pagare il dazio, stiamo parlando del 1800", raccontano ancora i gestori del ristorante.
Anche l'assessora capitolina al Commercio, Monica Lucarelli, ha scritto un messaggio su Facebook rivolto ad Alba e Alessandro:
Sposati da 58 anni, mano nella mano lavorando fianco a fianco in questa splendida trattoria romana. Esperienza, passione, amore per il proprio lavoro, fantastici ravioli fatti con queste mani. La cicoria raccolta al campo, le patate che arrivano da Viterbo per fare gli gnocchi e quelle di Avezzano per la brace ….un luogo così non può e non deve chiudere. Gli occhi lucidi dei clienti da sempre che vengono anche solo per un saluto. Il mio impegno c’è perché è inutile parlare di valorizzazione delle nostre eccellenze se come Istituzioni non riusciamo a supportare famiglie che hanno costruito il proprio futuro con il lavoro quotidiano.