Cartesio diceva che per diventare cercatori della verità, nella vita bisogna dubitare almeno una volta il più profondamente possibile di tutte le cose. Ed oggi l’oggetto del dubbio, che nei tribunali deve essere ragionevole, è il perché – dopo ventuno anni – la morte di Serena Mollicone resta ancora senza un colpevole. Una giustizia che non ha fatto giustizia.
Serena Mollicone, 18 anni, scomparve da Arce il 1 giugno del 2001. Il suo cadavere venne ritrovato dopo due giorni a Fonte Cupa, in un bosco del comune di Fontana Liri. Il 19 marzo 2021, dopo una lunga battaglia portata avanti da Guglielmo Mollicone, è iniziato il processo a carico dei coniugi Franco e Anna Maria Mottola, il figlio Marco – tutti accusati di omicidio ed occultamento di cadavere, del vicemaresciallo Vincenzo Quatrale, imputato per il reato di istigazione al suicidio, e dell’appuntato Francesco Suprano imputato del reato di favoreggiamento. Tutti assolti.
Le sentenze non si discutono, ma in questa vicenda è come se la verità fosse destinata a rimanere per sempre sospesa tra ciò che è stato accertato e ciò che poteva essere accertato.
Chi ha ucciso davvero Serena Mollicone? Analizziamo luci ed ombre della vicenda. Ombre che, all’avviso di chi scrive, difficilmente, potranno essere chiarite dalle motivazioni della sentenza attese per l’autunno.
La mancata prova regina: il Dna
Sicuramente, ha pesato come un macigno sulla mancata condanna l’assenza di tracce genetiche riconducibili ai Mottola: sul corpo di Serena, sullo scotch che la imbavagliava e sulla porta della caserma dei carabinieri di Arce. Porta, contro la quale, la ragazza avrebbe sbattuto la testa. Possibile che la mancanza di prove non sia riconducibile ad una capillare attività di ripulitura?
Ciò che emerge, con tutta evidenza, è che niente, nella fase successiva al delitto, è stato frutto di disorganizzazione. Chi ha confezionato il corpo di Serena lo ha fatto in maniera chirurgica: prima le ha avvolto il capo e poi le ha legato le mani dietro la schiena. Il tutto senza lasciare traccia. Anche sul nastro intorno alla bocca non è stato trovato Dna. L’unico profilo esiguamente presente sarebbe riconducibile a una successiva attività di contaminazione. Ma comunque non apparterebbe a nessuno degli imputati.
Chi ha ucciso era un esperto di scene del crimine? Probabilmente sì, perché ha utilizzato verosimilmente guanti per non lasciare alcun tipo di traccia. O quasi. Difatti, sui capelli di Serena sono stati rinvenuti, secondo la consulenza della Prof. Cattaneo, 25 frammenti sub-millimetri compatibili con tutti gli strati della porta sequestrata all’interno della caserma di Arce. Di questi frammenti, chi ha maneggiato il corpo, non si è reso conto. Ma anche su questo punto la difesa ha rilevato altro. Nello specifico, ha sostenuto che la distribuzione dei frammenti avrebbe dovuto essere conteggiata su di un raggio maggiore di quello riscontrabile sulla tempia di Serena. Dunque, un dato non dirimente forse neppure per i giudici.
La porta della Caserma dei Carabinieri di Arce
La porta danneggiata all’interno della Caserma di Arce, considerata la chiave di volta per la riapertura del caso, è stata sequestrata soltanto nel 2017, 16 anni dopo il delitto. In quell’occasione, la Procura di Cassino aveva incaricato la Prof. Cattaneo e l’Ing. Sala di valutare la compatibilità del danno presente sulla porta sia con le lesioni presenti sul cranio di Serena, sia in riferimento al pugno che i Mottola avevano raccontato essere stato sferrato contro quella porta per giustificare la presenza di quel buco. Secondo quanto ricostruito dall’anatomopatologa, la frattura cranica di Serena sarebbe riconducibile all’urto con una superficie liscia. In tal senso, stando alla consulenza, la lesione presente sulla porta della caserma dei carabinieri di Arce sarebbe perfettamente sovrapponibile con la forma del capo della Mollicone nel punto d’impatto.
In aggiunta, anche in questa circostanza il comportamento dei Mottola era apparso ambiguo. Se, infatti, da un lato avevano acconsentito alla Prof. Cattaneo di sottoporsi al calco del pugno, dall’altro si erano avvalsi della facoltà di non rispondere in ordine alle modalità con le quali il cazzotto in oggetto era stato sferrato contro la porta. Sicuramente un loro diritto quello di astenersi dal proferire parola in merito. Tuttavia, c’è da chiedersi il perché del silenzio giacché una spiegazione credibile in proposito avrebbe potuto fugare sin da subito la loro responsabilità.
La causa di morte di Serena Mollicone
Dopo la contusione alla testa, è verosimile credere che lo scotch le sia stato posizionato sulla bocca per accelerare la morte: Serena non moriva. In questo senso, neppure il dato per il quale le mani fossero legate dietro la schiena è casuale. Il timore di chi ha agito era quello che la ragazza si riprendesse. Difatti, il suo decesso non è stato cagionato di per sé dal trauma cranico, ma dal mancato soccorso. La causa di morte, infatti, è stata ricondotta all’asfissia. Così come stabilito da Regimenti, medico legale di parte civile. Secondo il consulente di parte, difatti, le lesioni al cranio non erano di per sé da considerarsi fatali. Serena sarebbe deceduta in seguito ad una lunga agonia.
La giovane era per il suo carnefice, o forse per i suoi carnefici, una testimone scomoda. Aveva scoperto circostanze che non potevano essere conosciute e doveva essere necessariamente eliminata. Questo potrebbe essere il motivo per il quale il suo assassino le ha tappato la bocca con lo scotch prima di buttare il suo corpo in luogo frequentato da drogati e prostitute e dunque ad elevato rischio di contaminazione. Abbandonata come un qualsiasi rifiuto.
Il mistero del movente
Soltanto Serena potrebbe rivelare il motivo per il quale ha perso la vita. Certo è che la versione fornita da Guglielmo Mollicone, probabilmente non sufficiente per la Corte D’Assise, sembrerebbe essere quella maggiormente plausibile. Il padre ha sostenuto sin dall’inizio che la figlia era intenzionata a denunciare Marco Mottola per la sua attività di spaccio. Un’intenzione che l’aveva indotta, qualche giorno prima dell’omicidio, ad intavolare una discussione con il maresciallo Franco Mottola.
Il suicidio del brigadiere Santino Tuzi
L’11 aprile 2008 si è tolto la vita il brigadiere Santino Tuzi, che era in servizio presso la Caserma dei Carabinieri di Arce quando fu uccisa Serena Mollicone. L’uomo aveva confidato ai suoi superiori e al magistrato procedente dell’epoca, la dottoressa Maria Perna, di aver visto entrare la ragazza nella caserma di Arce il 1° giugno del 2001 e di non averla più vista uscire. La sua deposizione non è però stata sufficiente ad incastrare gli imputati perché non verificabile fino in fondo. Il brigadiere si è tolto la vita prima dell’inizio del processo e prima che l’interrogatorio fosse completato.
Gli indumenti di Serena
Sugli abiti di Serena non sono stati rinvenuti segni di trascinamento. Ciò significa che il suo corpo, prima di essere gettato, è stato sollevato. Neppure il luogo dell’abbandono è casuale. Oltre, come detto, ad essere frequentato da gente poco raccomandabile, si trattava di un posto vicino al bar dove Serena è stata vista viva l’ultima volta.
Il mistero del cellulare
Anche il ritrovamento del telefono cellulare di Serena lascia aperti numerosi scenari. Lo stesso venne ritrovato a distanza di giorni a casa di Guglielmo Mollicone, con il registro delle chiamate cancellato e con impresso sulla rubrica il numero 666. Quello del diavolo. Il padre di Serena, fino a quando è rimasto in vita, ha sempre sostenuto fosse stato Mottola ha riporlo nella sua abitazione durante una finta perquisizione per cercare di addebitare a lui ogni responsabilità per la morte della figlia. Proprio al padre che fu prelevato durante la veglia funebre della figlia per essere portato in caserma.
Un gioco di specchi e di dubbi che, però, lasciano ancora senza un colpevole la morte di Serena Mollicone.