Centri antiviolenza contro antiabortisti nei consultori: “Chiediamo tavolo immediato con Regione Lazio”
I centri antiviolenza del Lazio contro la decisione del Governo di far entrare le associazioni antiabortiste nei consultori. Una decisione, spiegano le operatrici dei cav, che non solo viola i diritti delle donne stesse, ma che rischia di spingerle verso la sanità privata. Perché qualora i prolife dovessero varcare le soglie di queste strutture, la privacy di chi decide di interrompere una gravidanza sarà inevitabilmente compromessa. Venendo meno a uno dei principi cardine di questi luoghi, dove le donne non potrebbero più essere tutelate.
I Centri antiviolenza D.i.Re, lanciando la loro partecipazione al corteo di Non Una di Meno del 25 maggio contro la presenza dei prolife nei consultori, hanno chiesto alla Regione Lazio l'apertura di "un tavolo a livello regionale tra istituzioni, politica e centri antiviolenza perché si possano mettere al centro i bisogni delle donne e le necessità che richiede il lavoro esperto realizzato a tutela sostegno di percorsi in uscita dalla violenza, per il miglioramento costante della governance nella rete antiviolenza e della sperimentata metodologia di accoglienza e di lavoro complesso".
Non solo: i centri antiviolenza non escludono azioni legali nel caso non dovesse essere applicata correttamente la 194. "I Centri antiviolenza D.i.Re – Donne in rete contro la violenza – dichiarano in una nota – promuoveranno azioni di resistenza e monitoraggio nei territori e a livello nazionale. I centri antiviolenza conoscono la violenza istituzionale e daranno sostegno alle donne, valutando, qualora vi siano le condizioni e insieme alle donne stesse, iniziative legali, monitorando la corretta applicazione della legge 194. Riteniamo importante garantire la realizzazione dell' IVG nei tempi previsti dalle legge, evitando che le donne debbano far riferimento alla gestione del servizio in intromoenia. Un sistema a discapito di quante non possano sostenere tale costo e che collude con il garantire la libertà di scelta".
Ciò che i centri antiviolenza contestano, inoltre, è il non essere coinvolti dalle istituzioni per il contrasto alla violenza di genere. Con il risultato che rischiano di essere coinvolti enti e associazioni senza nessuna formazione specifica, totalmente inadeguati a supportare chi cerca di sottrarsi da situazioni di abuso. E che possono fare più danno che bene.
"Ne sono da esempio bandi e avvisi di enti comunali che mirano essenzialmente a fornire servizi tampone più idonei a dare un’immagine di intervento risolutorio che a sostenere adeguatamente ed efficacemente la donna nel percorso di uscita dalla violenza. Tale ‘cattiva pratica', come sottolineato dal Grevio (organo indipendente che hanno lo specifico compito di monitorare l’attuazione della Convenzione di Istanbul all’interno dei Paesi firmatari e di fornire raccomandazioni volte a rendere la normativa nazionale e la prassi applicativa sempre più in linea con gli obiettivi della Convenzione stessa) finisce per compromettere un lavoro di qualità e l’impatto della neutralizzazione della tale specificità dei centri antiviolenza può essere drammatico mettendo in discussione la certezza, gli spazi sicuri a sostegno delle donne, dei figli e delle figlie che le organizzazioni di donne, da sempre, hanno cercato di garantire".
"Invitiamo tutte e tutti a scendere al fianco delle donne il prossimo 25 maggio, saremo presenti come Centri antiviolenza, Case rifugio e Sportelli antiviolenza alla Manifestazione indetta dal Movimento Non Una di Meno per ribadire l’autodeterminazione delle donne e tutta la rete dei centri antiviolenza femministi".