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Centrale del Latte e il regalo a Parmalat sui dividendi: in ballo 40 milioni per le casse di Roma

La Centrale del Latte di Roma non ha ancora chiesto a Parmalat il pagamento dei dividendi che gli spettano a causa di una sorta di accorto di ‘non belligeranza’. Ma questi soldi, che una sentenza esecutiva attribuisce allo stabilimento romano, potrebbero andare a rimpolpare le casse del Campidoglio.
A cura di Enrico Tata
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Per 30 anni Parmalat ha gestito la produzione della storica centrale del Latte di Roma. In estate ha riconsegnato la quota di maggioranza dello stabilimento, il 75 per cento, a Roma Capitale. Di fatto, adesso è il Campidoglio ad essere proprietario della centrale. Che però, per una sorta di patto di non aggressione o di non belligeranza, non ha ancora chiesto all'azienda francese i dividendi che gli spettano, così come stabilito da una sentenza esecutiva. Sono oltre 40 milioni di euro che potrebbero finire nelle casse della Capitale.

Dal primo gennaio, inoltre, questo patto di non belligeranza sembra essere stato tradito dalla stessa Parmalat, che non si è dimostrata disponibile a continuare ad acquistare parte del latte prodotto dalla Centrale, che dovrà quindi essere ricollocato sul mercato con non poche difficoltà. "Una decisione che reputo irresponsabile", ha dichiarato il presidente della Centrale, Fabio Massimo Pallottini, intervenuto oggi in una seduta della Commissione capitolina Commercio presieduta da Andrea Alemanni, Partito democratico.

Nonostante questo comportamento di Parmalat, Centrale del Latte ha scelto di non chiedere i dividendi. Questo perché, hanno spiegato i dirigenti dello stabilimento romano, sulla questione ci sono sentenze non conformi: in pratica la prima dice che Roma Capitale non ne ha diritto e la seconda invece sì. Per il presidente della Centrale e per il direttore generale, Paolo Aielli, occorre quindi aspettare il giudizio definitivo della Corte di Cassazione.

Una ricostruzione non condivisa né da Alemanni né dagli altri consiglieri, di maggioranza e di opposizione, intervenuti nel corso della Commissione. Per esempio la consigliera dem Carla Fermariello ha osservato: "Nell'estate si era arrivati a un accordo con Parmalat su una ‘fuoriuscita dolce' ed eravamo stati indulgenti sulle quote e sui dividendi, con un atteggiamento attendista che non ho mai condiviso. Ma adesso questo accordo è stato tradito. Visto che Parmalat adesso è uscita, non capisco perché non possiamo chiedere i dividendi e custodirli, senza necessariamente spenderli in attesa del giudizio finale della Cassazione, ma iscrivendoli a bilancio di Roma Capitale. Del resto una sentenza esecutiva lo stabilisce e lo ordina di riscuoterli".

Ha aggiunto il presidente Alemanni: "Sostanzialmente la questione della vendita del latte non c'è più da gennaio ed era la parte più importante dell'accordo con Parmalat. Perché non chiedere adesso i dividendi? Dal punto di vista amministrativo e politico, nel bilancio non è la stessa cosa inserirli o non inserirli".

Il direttore Aielli ha spiegato che è stato siglato un accordo con Parmalat per la gestione del periodo transitorio, un accordo finalizzato al mantenimento in vita dell'azienda e alla continuità aziendale. In pratica, 18 mesi di tregua armata o di "non belligeranza": "In questo periodo non abbiamo chiesto i dividendi perché comunque sarebbero stati messi in un fondo in cui non avremmo potuto toccarli in attesa della Cassazione".

L'accordo con Parmalat, ha aggiunto, è tuttora in corso, nonostante tutto, e si esaurirà soltanto a fine 2024: "Riguarda non solo la vendita del latte, ma anche la distribuzione, il trasporto, l'informatica, l'affitto dei locali. Tutti elementi su cui l'azienda si sta attrezzando ad essere totalmente indipendente. Per quanto riguarda il latte, Parmalat aveva garantito sei mesi e qualora ci fossero state le condizioni, avrebbe eventualmente prolungato".

Secondo Aielli, inoltre, senza giudizio finale della Cassazione, l'azienda praticamente non ha valore: "Secondo una due diligence indipendente che abbiamo fatto fare, il valore patrimoniale dell'azienda è più o meno 65 milioni. Questo valore è tale grazie alla cosiddetta continuità aziendale, ma per valorizzare questo elemento noi dobbiamo avere la piena titolarità delle azioni. Perché se andassimo sul mercato, la valutazione sarebbe molto più bassa, dato che c'è una sentenza ancora pendente".

Ma anche questa ricostruzione viene contestata da Alemanni e dai consiglieri capitolini intervenuti in Commissione: "La questione del valore dell'azienda è un fatto amministrativo ed è completamente scollegato dalla vicenda dei dividendi. Inoltre, la decisione in merito a un'eventuale vendita sul mercato di Centrale del Latte spetta all'Assemblea Capitolina".

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