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La morte di Stefano Dal Corso in carcere

Caso Stefano Dal Corso, una nuova perizia medico legale: “Ferite compatibili con uno strangolamento”

Il caso del 42enne morto nel carcere di Oristano. La famiglia non crede al suicidio e chiede che venga effettuata l’autopsia. Una nuova perizia di parte oggi chiarisce come i segni sul collo sono compatibili con lo strangolamento e che l’orario del decesso indicata va anticipata di circa 12 ore.
A cura di Valerio Renzi
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Ventotto pagine firmate dal medico legale Claudio Buccelli e dall'anatomo patologa Gelsomina Mansueto, ribadiscono quello che la famiglia sostiene da mesi: sono ancora troppe le domande aperte sul presunto suicidio di Stefano Dal Corso, avvenuto nel carcere Casa Massima di Oristano il 12 ottobre del 2022.

Il 42enne del Tufello si trovava nel carcere sull'isola per assistere a un'udienza. Era di passaggio, detenuto in una cella adiacente al reparto di infermeria. Non aveva dato segnali preoccupanti nei giorni e nei mesi precedenti. Era rientrato in carcere per scontare un residuo di pena e sarebbe tornato presto in libertà.

La famiglia fin dall'inizio non crede al suicidio. Non solo Stefano scriveva come dal carcere di Rebibbia stava provando ad organizzare la sua vita una volta uscito, ma soprattutto troppe cose non tornavano in quelle foto che non mostravano mai il cadavere impiccato. E poi quelle anomalie di un'impiccagione avvenuta su una finestra molto bassa, senza il letto fosse stato neanche spostato.

Mesi di angoscia, di tentativi di far effettuare l'autopsia, non eseguita per ragioni che tutt'ora restano difficilmente comprensibili viste le circostanze. È Marisa Dal Corso, per tutti Mary, che per la famiglia non si arrende: la sorella di Stefano vuole essere sicura di quello che dicono le autorità, non crede a una storia piena di lacune. Poi il caso arriva in Senato grazie al sostegno dato alla famiglia dell'assessore alla Cultura del III Municipio Luca Blasi, e della senatrice Ilaria Cucchi. Quelle foto vengono mostrate alla stampa, il caso viene ripreso da molti giornali e finisce anche a "Chi l'ha visto?", nel quartiere di Stefano in centinaia scendono in piazza per chiedere che venga fatta chiarezza.

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"Durante la prossima udienza ci opporremo con decisione alla richiesta di archiviazione presentata dal pm – spiega Armida Decina, la legale della famiglia Dal Corso – Siamo riusciti a collocare la salma in una cella frigorifera e speriamo che finalmente si predisponga l'autopsia.". Ci sentiamo di dire senza timore di essere smentiti che è una questione che non riguarda solo la famiglia che venga fugato ogni dubbio, ma la qualità della nostra democrazia visto che Stefano quando è morto era sotto la tutela dello Stato.

Ma cosa dice la nuova perizio medico legale, effettuata ancora una volta sulla base di foto e informazioni lacunose? Prima di tutto è evidente che mancano immagini dettagliate del sopralluogo, non ci sono immagini di Stefano impiccato, ma neanche del corpo nudo, così da rendere impossibile individuare eventuali altre lesioni. Nel punto sei della relazione viene poi sottolineato come "l'imbrattamento ematico" presente sul "mezzo lesivo", ovvero sul brandello di lenzuolo che è stato rinvenuto per terra e che è presente anche nelle foto, "suggerisce uno strangolamento più che un impiccamento". L'impiccamento avviene per la rottura dell'osso del collo solitamente prima che per asfissia, ed è molto difficile che lasci tracce ematiche di quella natura.

Altra questione è l'orario della morte: secondo i periti il colore della ferita presente sul collo suggerisce che il decesso sia avvenuto circa 12 ore prima di quanto indicato, rendendo anomala la ricostruzione delle autorità carcerarie, secondo le quali poche ore prima del ritrovamento Stefano era vivo.

"La ferita poi suggerisce una morte agonica ovvero non avvenuta immediatamente come accade con l'impiccagione", spiega Decina. "Un riscontro istologico dopo il prelievo cutaneo e il prelievo polmonare nel corso dell'autopsia avrebbe permesso di chiarire molte cose e portare a una corretta diagnosi. Gli accertamenti medici legali sono stati lacunosi e non lasciano certezze per stabilire se sia trattato di auto impiccamento o di sospensione di cadavere", conclude l'avvocata. Ora la questione si sposta in aula.

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