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Aggiornamenti sul caso Emanuela Orlandi

Caso Orlandi, dalle nuove indagini nessuna svolta: il Vaticano ha consegnato tutti nuovi documenti?

Dopo quaranta anni dal Vaticano emerge la presenza di un carteggio in cui si fa riferimento al presunto coinvolgimento dello zio sulla scomparsa di Emanuela. Possibile sia l’unico documento nelle mani del Vaticano sul caso?
A cura di Beatrice Tominic
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A poco più di sei mesi dall'apertura dall'inchiesta in Vaticano, ecco la svolta nel caso della scomparsa di Emanuela Orlandi. O forse no. Negli ultimi due giorni non si è fatto altro che analizzare quanto reso pubblico nell'edizione della sera di lunedì scorso da La7: una delle sorelle di Emanuela, Natalina, rivelò al suo padre spirituale di essere stata molestata dallo zio, Mario Meneguzzi. Lo stesso zio che, a qualche ora dalla sparizione di Emanuela, ha girato tutta Roma in moto insieme a Pietro per cercare di ritrovare la quindicenne.

Ma è davvero una novità? A quanto pare no. "I fatti risalgono al 1978. Quando è scomparsa Emanuela sono stata interrogata su questo e ho dichiarato quanto accaduto qualche anno prima: la Procura di Roma era a conoscenza della vicenda già nel 1983 – ha spiegato Natalina ieri sera, durante la conferenza stampa – Becciu mi disse che, se fosse stato necessario, sarebbe stato reso pubblico. Gli ho risposto di farlo se fosse stato necessario: a me i discorsi di ricatto non piacciono".

Possibile che questo sia l'unico elemento consistente emerso da quasi sette mesi di indagini della Santa Sede? Il carteggio con le lettere fra il sacerdote con cui si è confidata Natalina, che avrebbe comunque dovuto mantenere il segreto professionale, e gli alti quadri del Vaticano è stato tenuto nascosto per più di quaranta anni. Esistono altri documenti che il Vaticano ha tenuto nascosti per decenni? Quanto ancora dovremmo aspettare prima che vengano resti pubblici? Interrogativi che, indubbiamente, attanagliano la famiglia Orlandi.

Di documenti ed elementi da prendere in considerazione ce ne sarebbero altri. Mentre lo scambio di missive non porterebbe a niente di nuovo, se non a puntare il dito contro la famiglia di Emanuela, uscita già martoriata dagli ultimi quattro decenni di ricerche e a ripulire il Vaticano dalle sue responsabilità. "C'è già chi dice vedi, ora è tutto chiaro. La Santa Sede non c'entra – ha spiegato Pietro – Sono delle carogne".

Che fine ha fatto, invece, il dossier creato sulla scomparsa di Emanuela, finito sotto allo sguardo dell'avvocata Chaouqui (Vaticanleaks, ndr) e di cui Padre Georg ha parlato a Pietro prima di smentirne l'esistenza nel suo ultimo libro? Quando sarà preso in considerazione il materiale che da tempo la famiglia Orlandi chiede di poter consegnare al Vaticano? Era gennaio quando l'avvocata Sgro ha presentato l'ennesima istanza in Vaticano con la richiesta di incontrare il promotore di giustizia Alessandro Diddi per "mostrargli direttamente i testi delle chat di WhatsApp fra due persone molto vicine al papa". Il contenuto dei messaggi risale ad un periodo compreso fra il 2013 e il 2014, un paio di anni prima dell'apertura delle tombe del Teutonico.

"Anche loro parlavano di documenti presenti in Vaticano in cui Emanuela era citata come se fosse un problema da risolvere. Si faceva riferimento ai tombaroli, a persone a conoscenza dell'argomento, come il cardinale Abril e al fatto che il capo della gendarmeria Vaticana, Domenico Giani, sarebbe dovuto restare all'oscuro dei fatti".

Meno di un anno fa, la speranza era quella di fare chiarezza in poco tempo, con indagini brevi: "Sanno già la verità, basta raccontarla", spiegava Pietro ad inizio gennaio. Ancora una volta, invece, sul caso aperto più famoso del secolo scorso, si potrebbero continuare, se non a depistare, almeno ad omettere alcuni elementi della vicenda. Decisivi o meno, forse non lo sapremo mai.

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