Caso di meningite nel carcere di Regina Coeli, un detenuto è in coma allo Spallanzani

In fin di vita per aver contratto la meningite dietro le sbarre. Ora un quarantaquattrenne, detenuto del carcere di Regina Coeli a Roma, è in coma, ricoverato in isolamento all'ospedale Spallazani. La famiglia prega per un miracolo, mentre attende l'autorizzazione dell'ospedale, per poter vedere l'uomo a distanza di sicurezza e con le precauzioni necessarie, per evitare episodi di contagio. Un contagio che nelle celle di Regina Coeli si cerca di prevenire. A confermare il caso di meningite in carcere è l'Asl Roma 1, che a ha dichiarato di aver iniziato il protocollo di prevenzione nella struttura di detenzione. Alla campagna di profilassi hanno aderito tutti i detenuti della sezione in cui si trovava il quarantaquattrenne.
Come conferma a Fanpage.it anche il Garante dei detenuti del Lazio, Stefano Anastasìa "al momento non emergono altri casi. Non so se possiamo escludere che ne emergano, però per il momento non ci sono stati notificati".
Il caso di meningite: come sta il detenuto contagiato
Il detenuto era nel carcere di Regina Coeli in attesa di giudizio quando ha contratto la meningite. Da lunedì scorso le sue condizioni di salute si sono aggravate e ha avuto bisogno del ricovero ospedaliero. Il quarantaquattrenne è stato trasportato d'urgenza prima all'ospedale Santo Spirito e trasferito all'Istituto di Malattie Infettive Lazzaro Spallanzani. Un caso drammatico, che ripropone il problema di sovraffollamento delle carceri.
Valentina Calderone, garante dei detenuti del Comune di Roma ha dichiarato a Fanpage.it che monitora il caso, definendolo "in questo momento molto delicato". Sulle condizioni del carcere di Regina Coeli le problematiche sono ormai note e già denunciate. "È una situazione particolarmente sovraffollata e complicata da gestire. È uno scenario che ripetiamo ormai da mesi". Una denuncia confermata anche dal Garante Stefano Anastasìa "Un istituto che lavora con il doppio delle persone detenute rischia anche nell'assistenza sanitaria". Come sottolinea il Garante dei detenuti del Lazio l'aumento delle persone in cella non significa un aumento del personale di assistenza, che è al momento carente.
Meningite nel carcere di Regina Coeli, cure preventive per evitare contagi
Dopo che è stato accertato il caso di meningite, l'Asl Roma 1 che è competente del presidio sanitario nel carcere di Regina Coeli, ha avviato i protocolli del caso. Il personale sanitario, i detenuti, gli agenti penitenziari e il personale della struttura sono stati sottoposti a cure mediche preventive. L'obiettivo è quello di evitare un contagio di meningite tra chi abita e frequenta quotidianamente il carcere. Una campagna di prevenzione che come confermato dal Garante Anastasìa ha visto la partecipazione "di quasi tutti i detenuti della sezione dell'uomo ora ricoverato".
La meningite, come si legge sul portale dell'Istituto Superiore di Sanità, è un'infezione batterica possibilmente mortale, che si trasmette con un contatto ravvicinato, di solito inferiore ai due metri, con la persona infetta. Uno scenario che facilmente si potrebbe verificare in carcere, soprattutto tra i detenuti che condividono celle spesso troppo piccole. Nel suo "XX rapporto sulle condizioni di detenzione", l'associazione Antigone nel 2024 ha visitato 87 carceri, accertando che che nel 32 per cento di essi non vengono garantiti i tre metri quadri di spazio tra un detenuto e l'altro.
Un sovraffollamento che per Anastasìa potrebbe essere risolto solo con "un provvedimento di clemenza, un indulto di due anni che svuoti le celle dai detenuti in eccesso e che consentirebbe alle carceri di tornare a funzionare in maniera dignitosa".
Caso di meningite in cella: le carenze sanitarie
Ad avere più dubbi sul rischio contagio nel carcere di Regina Coeli è Andrea Catarci, Responsabile Ufficio di scopo Giubileo delle Persone e Partecipazione di Roma Capitale. L'episodio evidenzia una volta di più le gravi carenze dei servizi sanitari negli istituti penali". Sul caso specifico ha dichiarato che "c'è una concreta possibilità di contagio di altre persone detenute". L'appello di Catarci va alle autorità competenti e all'urgenza "nel bloccare sul nascere la diffusione dei fattori batterici o virali all'interno delle carceri".