Cinema chiusi, Carocci (Piccolo America): “Le norme di Rocca e Gualtieri sono un nuovo ‘sacco di Roma’”

Mentre in Regione Lazio è in discussione la legge sulla semplificazione urbanistica, che potrebbe modificare profondamente le regole sulla riconversione delle sale cinematografiche abbandonate, anche il Comune di Roma si appresta ad approvare le nuove norme tecniche di attuazione del piano regolatore, che a loro volta incidono sul destino di questi spazi. In questo contesto, Valerio Carocci, della Fondazione Piccolo America, lancia una proposta alternativa insieme ad altre associazioni: trasformare i cinema chiusi di Roma e del Lazio in "terzi luoghi", spazi a vocazione culturale e sociale capaci di restituire valore pubblico "Gualtieri e Rocca stanno facendo la stessa identica operazione, solo con strumenti diversi", ha detto Carocci a Fanpage.it
Ci può spiegare l’iniziativa sui ‘terzi luoghi'?
L’iniziativa dei terzi luoghi nasce un po’ per caso ed è cominciata con un viaggio per scoprire quello che succedeva fuori da Roma. Avevo sentito parlare del concetto dei terzi luoghi, e ci siamo resi conto che noi del Cinema Troisi eravamo, di fatto, un terzo luogo. E anche il Live Alcazar. Si tratta di spazi ripensati, come le public houses, i pub britannici, da figure come Ray Oldenburg (sociologo inglese .ndr). Sono luoghi che si collocano tra casa e lavoro, rappresentando una terza alternativa, e da qui il nome.
In Italia, in realtà, abbiamo già due modelli di terzi luoghi: il primo sono gli oratori. L’altro modello è quello del dopolavoro ferroviario, che nasce sotto il fascismo con un uso ambivalente, anche di controllo. Ma è un esempio storico di spazio alternativo a casa e lavoro. A Parigi, invece, i terzi luoghi nascono come valvole di sfogo. E ogni sistema, economico o ingegneristico che sia, ha bisogno di valvole di sfogo. Noi invece, nella nostra società, stiamo dimenticando l’importanza di restare umani, di respirare.

Guardando Parigi abbiamo scoperto numeri importanti: 880 milioni di fatturato, 150.000 persone che lavorano nei terzi luoghi, il 70% donne e l’80% con contratti a tempo indeterminato. A Roma ci sono 50 sale abbandonate, spesso riconvertite in centri commerciali o B&B. Ma noi ci siamo chiesti: perché non renderle sostenibili economicamente senza ricorrere all’illegalità? In molte città italiane le attività socio-culturali si svolgono in spazi non autorizzati, senza pagare tasse, senza contratti. Perché non legalizzare tutto questo e inserirlo in un sistema economico legato all’intrattenimento notturno?
Cioè la visione è questa: avere all'interno delle ex sale delle piccole scatole insonorizzate che facciano tornare Roma e l'Italia ad essere una meta turistica per l'intrattenimento notturno.
Però a Roma le sale cinematografiche continuano a morire. Solo poche vengono riaperte. Il cinema Troisi è in questo senso uno dei pochi esperimenti riusciti. Qual è stato il suo segreto?
Il segreto è aver ripensato lo spazio. Al Troisi abbiamo mantenuto il cinema, che è il core business, ma abbiamo aggiunto altri servizi. Non è nato con l’intenzione di essere un “terzo luogo”, ma lo è diventato. È uno spazio dove si può stare, come succedeva con gli oratori. Al Troisi non si entra solo per vedere un film, ma c’è, per esempio, un’aula studio gratuita aperta 24 ore su 24.
Questo modello esiste anche in Francia: i terzi luoghi, o Tiers-lieux, sono spazi inseriti in partenariati pubblico-privato. In Francia ce ne sono oltre 3.500, di cui 620 nella regione di Parigi e il 60% di questi si trovano in aree rurali, non solo urbane.

Quindi proponete una riconversione delle sale cinematografiche abbandonate a Roma e nel Lazio sul modello francese?
Sì. A Parigi, la riforma dell’impatto acustico ha permesso la coesistenza tra vita residenziale e intrattenimento notturno. Hanno insonorizzato i club, aumentato i decibel consentiti all’interno, e regolamentato l’afflusso del pubblico. Questo ha portato alla rinascita dell’intrattenimento notturno parigino.
Parliamo ora della legge urbanistica regionale. Cosa contestate della proposta in discussione alla Regione Lazio?
Il problema è che, finora, l’attesa di un condono ha creato un valore immobiliare gonfiato. Una sala cinematografica oggi vale anche il 200% in più, perché si spera che diventi un hotel o un centro commerciale. Questo ha impedito a questi spazi di tornare sul mercato come spazi socio-culturali. Ma non sono solo cinema: a livello urbanistico, possono diventare asili nido, scuole di formazione, teatri, club.
Quello che chiediamo è che si riconosca il valore di questi spazi come beni di uso pubblico. Se riconvertiti in alberghi, centri commerciali e B&B tale uso si perderebbe perché la loro funzione verrebbe completamente privatizzata, a differenza di cinema e teatri, ovvero Terzi Luoghi, dove la funzione è invece sociale. E chiediamo che si investa sull’insonorizzazione e sull’aggiornamento delle normative acustiche per permettere tutto questo.
Stavamo studiando la riconversione delle sale, partendo dall'acquisto del circuito Ferrero da parte del fondo olandese. Otto sale cinematografiche che oggi sono di proprietà di un fondo internazionale. E ci siamo detti: "Ok, se ci sono dei fondi internazionali che investono sul cinema italiano, vuol dire che un indotto esiste, vuol dire che c'è una prospettiva". Ma quando siamo andati a vedere bene, abbiamo scoperto che c'è una possibilità di cambio di destinazione d'uso che, nel momento in cui si apre completamente la porta a una trasformazione in alberghi, centri commerciali, B&B, distrugge il valore d’uso culturale. E quello che abbiamo chiesto e chiediamo alla Regione Lazio è molto semplice: fate come hanno fatto a Parigi. Cioè: non vietate, non bloccate, ma regolate.
Create un albo, un elenco delle sale cinematografiche dismesse, riconoscete che esiste una possibilità di sviluppo imprenditoriale anche in ambito culturale e sociale, ma non lasciate che tutto sia in mano a un automatismo, per cui un imprenditore compra una sala, aspetta cinque anni che cada a pezzi, poi chiede il cambio di destinazione d’uso e ci fa un albergo. Così si distrugge il tessuto urbano e il potenziale di questi luoghi.
E quindi la vostra proposta alternativa qual è?
La nostra proposta è semplice: creare un fondo regionale per il recupero delle sale abbandonate, vincolare la destinazione d’uso per un certo numero di anni a funzioni culturali e sociali, sostenere l’adeguamento tecnologico e acustico di questi spazi per renderli sostenibili anche economicamente, e soprattutto aprire un bando pubblico rivolto a soggetti del terzo settore, a cooperative, a startup culturali.
Quello che chiediamo è di non continuare a guardare queste sale solo come un problema o come un’opportunità speculativa, ma come una risorsa. Una risorsa per la città, per i territori, per l’occupazione giovanile, per l'intrattenimento notturno. Perché, alla fine, quello che manca oggi è la possibilità di stare insieme in modo libero, accessibile, legale e creativo.
E se queste 50 sale diventano 50 scatole magiche in cui si può studiare, ballare, mangiare, ascoltare musica, fare teatro, allora Roma può davvero tornare a essere una capitale culturale europea. Ma per farlo, serve una visione politica. E la legge urbanistica regionale deve andare in questa direzione, non contro.

Avete criticato Rocca, ma anche il sindaco Gualtieri. Perché?
Ci teniamo a precisare che non siamo contro l’amministrazione Rocca, né contro l’amministrazione Gualtieri. Quello che vediamo è che da una parte c’è un’amministrazione, come quella di Rocca, che si sta assumendo comunque la responsabilità di una scelta politica. Dall’altra, invece, c’è il Pd che dice: “Daremo battaglia in Regione”. Ma in Regione il Pd è in minoranza. È in Campidoglio che dovrebbe dare battaglia a sé stesso, per quanto riguarda le norme tecniche di attuazione al Piano Regolatore.
Su queste, per esempio, abbiamo infatti invitato tutti a inviare PEC per chiedere il blocco della monetizzazione dei parcheggi – che è ciò che ha distrutto le nostre città. Vi spiego brevemente perché: quando un cinema o un teatro viene riconvertito, cambia il carico urbanistico. Questo è un coefficiente che indica quanti parcheggi il proprietario dell’immobile deve garantire sul territorio per poter effettuare il cambio di destinazione d’uso. Ma cosa succede? Succede che i proprietari privati possono monetizzare quel carico urbanistico. Possono cioè pagare invece di realizzare i parcheggi.
Se si blocca la monetizzazione dei parcheggi per cinema, teatri, caserme e tutti gli spazi abbandonati dei Comuni italiani – e rivolgiamo su questo un appello a tutti i sindaci – automaticamente quelle cubature torneranno al valore 1, e non al 200%. Torneranno sul mercato. Ed è questo il processo, per rispondere alla tua domanda di prima, che ha permesso e può permettere ad alcune esperienze di uscire dall’illegalità ed entrare nel tessuto legale. Non perché “legalità” sia una parola che idolatriamo a prescindere – certo che siamo per la legalità – ma perché qualsiasi evento di pubblico spettacolo, qualunque sia la sua natura, ha bisogno di svolgersi in sicurezza. Per rispetto degli organizzatori e soprattutto del pubblico. E questo ce lo insegna Parigi.

Sulle norme di Attuazione del Piano Regolatore di Roma, in discussione in questi giorni, si è espressa, negativamente, anche la Soprintendenza Statale. Siete d'accordo con le loro osservazioni?
Noi abbiamo lanciato il nostro appello per il blocco della monetizzazione dei parcheggi. E ovviamente la soprintendente Daniela Porro ha agito su un altro piano, facendo un’operazione che, secondo noi, è stata magistrale. Da Scipione l’Africano contro Annibale, davvero. È questa la metafora che mi viene. Daniela Porro è il nostro Scipione, in questo momento. È un’eroina del Paese, che sta salvando il Lazio da un nuovo Sacco di Roma. Perché quello su cui si è espressa è un nuovo sacco di Roma, fatto per l’interesse di pochi e a danno dell’interesse pubblico.
Quindi Gualtieri e Rocca stanno facendo la stessa cosa?
Gualtieri e Rocca stanno facendo la stessa identica operazione, solo con strumenti diversi. Le norme tecniche di attuazione sono un nuovo sacco di Roma. La legge urbanistica regionale, invece, è un sacco del Lazio. Ma le due cose vanno in accordo: c’è un patto, esplicito o implicito. “Io non ti rompo le scatole su questa, tu non me le rompi su quella”. E lo ripeto: non siamo contro un’amministrazione o l’altra. Ma stanno facendo la stessa cosa. Uno sta facendo il sacco del Lazio, l’altro il sacco di Roma. E ognuno si spartisce la fetta della sua torta.