A Santa Palomba l’Eni accusata di aver inquinato terreni e falde acquifere per risparmiare
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Il deposito di carburanti di Eni a Santa Palomba, frazione di Pomezia, ha inquinato i terreni circostanti e le falde acquifere in maniera irreversibile a causa della fuoriuscita di carburante. Com'è stato possibile? Per "negligenza ed imprudenza" e per ottenere un risparmio sui costi di manutenzione e adeguamento alle misure di sicurezza.
Nello specifico l'azienda avrebbe "omesso di installare i doppi fondi in alcuni serbatoi contenenti jet-fuel e benzina" e non avrebbe provveduto "ad impermeabilizzare con il cemento i bacini di contenimento attorno ai serbatoi, costituiti invece da terreno permeabile e favorendo così lo sversamento". Il tutto, come detto, per risparmiare "sui costi dovuti all'adeguamento dei criteri di sicurezza ed alle manutenzioni".
Questo è emerso dalle indagini condotte per circa un anno e mezzo dai carabinieri del Nucleo Operativo Ecologico coordinati dal procuratore di Velletri Giancarlo Amato e dal sostituto procuratore Ambrogio Cassiani. Alla conclusione delle indagini preliminari, due dirigenti di Eni risultano indagati.
L'accusa è di aver permesso l'inquinamento dei terreni circostanti e dei tre livelli della falda acquifera. Eni dovrà rispondere anche della "responsabilità amministrativa ai sensi del D.Lgs. 231 del 2001 in quanto il modello organizzativo non prevedeva appositi protocolli sulla prevenzione in materia di perdita di carburanti dai serbatoi che potessero prevenire i reati ambientali".
L'azienda fa sapere con una nota stampa che "prende atto della notifica dell'avviso di conclusione delle indagini preliminari e conferma la massima collaborazione con le autorità giudiziarie. Eni confida di poter dimostrare la correttezza del proprio operato seguito nel tempo in attuazione dei protocolli di prevenzione di cui Eni è specificamente dotata in materia".