A Roma rischiamo ogni anno di non garantire il diritto allo studio a bambini e bambine
Di Claudia Pratelli
W. ha 10 anni e deve frequentare la quinta elementare, viveva nell’occupazione di via del Caravaggio e dopo, lo svuotamento dell’occupazione grazie alla messa a disposizione di case popolari sfitte, si è trasferito con la famiglia al Tufello, dall’altra parte della città rispetto a dove andava a scuola fino allo scorso giugno.
Ha fatto richiesta di iscrizione in tre scuole, ad altre tre ha chiesto ufficialmente su carta bollata il Municipio, ma niente. È stata una vera e proprio Odissea, che ha provocato ansia nella mamma e nel bambino, tanta frustrazione in tutti quelli che hanno provato a trovare una soluzione, una vicenda finita bene ma solo dopo settimane di fallimenti e con enorme fatica.
È una storia emblematica, che si ripete ogni anno per tante bambine e bambini. Che racconta gli equilibri precari su cui si regge la scuola, e soprattutto come le logiche economiciste mettano un’ipoteca su quello che è un diritto fondamentale, un obbligo secondo la Costituzione, per almeno otto anni. Eppure lo Stato non stanzia sufficienti risorse e non garantisce abbastanza personale alle scuole.
Le classi, nella scuola primaria, possono avere una numerosità compresa tra 18 e 26 alunni e alunne per classe, di 22 se c’è un bambino o una bambina con disabilità, 20 se ce n’è più di uno. Regole sistematicamente evase, perché lo Stato è il primo a violarle, dato che si prevede che “eventuali eccedenze” siano ripartite fino a 27 alunne e alunni per classe. Neanche la pandemia in cui siamo immersi ha dato una scossa all’ampliamento dei plessi e all’aumento dei posti disponibili, nonostante le norme di prevenzione del contagio impongano il distanziamento degli alunni nelle classi.
Queste regole, senza investimenti e un incremento di docenti e di classi, fanno sì che le scuole non riescano ad accettare tutti gli alunni che ne fanno richiesta, anche nella scuola dell’obbligo.
Dal Ministero, secondo la logica del pollo di Trilussa, ci raccontano che il numero medio di alunni per classe non è poi troppo alto e che, a proposito di polli, le classi pollaio non esistono. Così il Ministro Bianchi in un’infelice uscita di qualche giorno fa. Ma vi assicuro, da un angolo non così irrilevante del nostro paese, che non è così.
Non ci sono alibi, servono risorse per la scuola pubblica: più docenti, più classi, messa in sicurezza degli edifici. È addirittura banale ricordare che non sono spese ma investimenti.
Ma non è tutto qui. Davanti a queste contraddizioni serve che i soggetti in gioco -a partire da quelli istituzionali di prossimità – se ne facciano carico senza rimanere rintanati nelle proprie competenze o responsabilità formali. Così è stato da noi in questi anni. C’è poi un piano ineludibile che riguarda cosa può e deve fare il Comune di Roma. È assurdo che le famiglie e le scuole siano lasciate da sole a fare i conti con tutto questo e che non esista un coordinamento istituzionale. Aldilà dell’impegno volontario degli assessori municipali o dei servizi sociali, non esiste una cabina di regia che metta insieme ente locale Ufficio scolastico regionale e, fra loro, le scuole di un territorio, per coordinare e garantire le iscrizioni e gli inserimenti per coordinare e garantire un diritto di base come quello all’accesso all’istruzione obbligatoria.
È una di quelle cose che si possono e si devono fare subito. Anche per costruire, in rete, una lettura più completa e una vertenza più forte con il Ministero sulle risorse da destinare all’istruzione.