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A Roma è emergenza, mancano medici di famiglia. Magi (Omceo): “Nessuno vuole aprire studi in periferia”

“Molti medici non intendono aprire uno studio lontano dalla città o nelle periferie, se non vivono in questi contesti. A quel punto preferiscono rimanere a Roma oppure occuparsi di altro”, ha spiegato Antonio Magi, presidente dell’Ordine dei Medici di Roma e Lazio a Fanpage.it.
Intervista a Dott. Antonio Magi
presidente dell'Ordine dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri di Roma e Provincia
A cura di Enrico Tata
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Mancano medici di famiglia e guardie mediche nel Lazio. Una vera e propria emergenza sanitaria che coinvolge soprattutto le periferie di Roma e i piccoli comuni della regione e della provincia metropolitana. La Regione ha pubblicato un bando a luglio per sopperire alle carenza e la speranza, ha dichiarato a Fanpage.it Antonio Magi, presidente dell'Ordine dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri di Roma e Provincia, "è che ci siano molte adesioni in modo di non lasciare scoperte aree della nostra regione. Sarebbe un problema non avere abbastanza medici di medicina generale in alcune zone, perché ovviamente rappresentano il primo punto di incontro tra pazienti e servizio sanitario nazionale".

La carenza dei medici di famiglia è storica, soprattutto nelle province, "ma sta crescendo ulteriormente a causa di ritardi legati ai bandi per le borse, ma anche a questioni organizzativi". Magi spiega che "molti medici non intendono aprire uno studio lontano dalla città o nelle periferie, se non vivono in questi contesti. A quel punto preferiscono rimanere a Roma oppure occuparsi di altro. E questo non riguarda soltanto la medicina generale, ma anche gli ospedali e le prestazioni specialistiche". In più occorre sottolineare che "oltre il 70 per cento dei medici di medicina generale che ottengono l'abilitazione sono donne e ci sono alcune aree periferiche più problematiche in cui si ha difficoltà ad aprire un proprio studio medico".

Per quanto riguarda l'emergenza sulle guardie mediche, "anche in questo caso si tratta di un problema grave, anche se in parte mitigato dagli ‘ambufest', ambulatori aperti specialmente nei giorni festivi, ma che in alcune asl rimangono aperti tutta la settimana. Tuttavia in questi servizi generalmente non si svolgono attività sanitarie, ma burocratiche, anche perché sono carenti di strumentazione e personale infermieristico".

Nei giorni scorsi si è discusso molto del caso di un medico che ha lasciato il proprio posto in ospedale per fare il medico a gettone, con un compenso ben maggiore. "Se la remunerazione di un gettonista è di 150 euro all'ora contro i 34 euro all'ora che prende uno strutturato è ovvio che ci siano strutturati che si dimettono per fare i gettonisti. Il governo sta cercando di frenare questo fenomeno, ma io mi chiedo: quelli dei gettoni sono comunque soldi dello Stato, inseriti in un capitolo di spesa che si chiama ‘beni e servizi'. Perché non possono essere trasferiti al personale strutturato? Pagare i medici come beni e servizi va bene e come personale no? Voglio ricordare che per quanto riguarda la retribuzione dei medici siamo terzultimi in Europa davanti a Grecia e Portogallo. Se adeguassimo gli stipendi a quelli degli altri Paesi europei, probabilmente questi problemi non ci sarebbero", ha spiegato il presidente della Omceo.

Un altro problema storico della sanità laziale è l'affollamento dei pronto soccorsi, con cui il presidente Rocca ha provato a porre rimedio finanziando le strutture private per avere disponibilità di posti letto. "Uno dei problemi del pronto soccorso è che i pazienti arrivano, sostano in attesa di un letto e il letto non c'è. L'aiuto chiesto ai privati non riguarda un'attività di pronto soccorso, ma la possibilità di ricevere pazienti da ricoverare. Chiaro che questo può aver dato un aiuto, ma ancora non abbiamo dati certi per commentare i risultati di questa operazione. L'unico dato certo che abbiamo è che continuano a diminuire i medici di pronto soccorso, molti si dimettono e non ci sono i sostituti. Quindi la situazione nei pronto soccorso è sempre più grave. Vorrei fare notare inoltre che questi medici svolgono soltanto questa attività e non fanno attività privata".

Sulle liste d'attesa per le prestazioni sanitarie, sempre lunghissime, Magi ha spiegato che "uno dei motivi è legato al monte ore degli specialisti sul territorio delle asl, che continuano a lavorare con una media di 20 settimanali. Se noi le portassimo a 38, già dimezzeremmo le liste d'attesa. Chiaramente poi c'è una carenza strutturale di personale specialistico che invece di lavorare nel pubblico preferisce andare nel privato o all'estero. A questo occorre aggiungere il problema delle aggressioni ai sanitari e delle continue denunce da parte delle associazioni di avvocati per i risarcimenti ai pazienti".

Le informazioni fornite su www.fanpage.it sono progettate per integrare, non sostituire, la relazione tra un paziente e il proprio medico.
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